Una pillola anticomiziale a base di Algiers, per quando vorresti fare la rivoluzione ma il culo ti pesa troppo e non riesci a staccarti dalla sedia, e allora la fai col culo degli altri.
11 Luglio 2017
Ettore Spattini, classe 1921, anni 96 (più quelli che gli restano ancora da bestemmiare), detto Tumulto, ormai sempre più spesso, mentre guarda il telegiornale, giù al bar, nella televisione appesa sopra il frigo dei gelati, scuote la testa rassegnato e mormora tra sé e sé:
Come si fa a andare avanti così? Qua ci vuole la rivoluzione.
Badate bene, non una rivoluzione, una di quelle rivolte specifiche dovute a tutta una serie di cause e con un ben preciso obiettivo da raggiungere: la rivoluzione. E ancora, a scanso di equivoci, non quella con la "R" maiuscola, la madre di tutte le rivoluzioni, sacra, inevitabile e giusta, ma semplicemente quella con l'articolo determinativo, la rivoluzione a prescindere: no matter why, no matter what.
Io lo capisco, il povero Ettore, perché uno che ha visto nascere e morire Berlinguer e ora si ritrova di fronte Fassina come può non pensare che ormai siamo arrivati a un punto che non importa nemmeno più quale rivoluzione si fa, che sia la rivoluzione francese, quella d'ottobre o semplicemente quella volta che in uno slancio di ribellione adolescenziale a quindici anni rispondesti «no!» a tua madre che a tavola di aveva chiesto «mi passi il sale?». Senza aggiungere "per favore" intendo. Come può non rassegnarsi al fatto che ormai l'unico tentativo estremo è quello di rovesciarla così alla cazzo, la tavola, nella speranza che quelle che ci sono attaccate sotto siano caccole meno imbarazzanti di quelle che poco prima ci stavamo degustando nel piatto?
Il problema è: chi glielo spiega ora, a Tumulto, lui che si è fatto due guerre e due dopoguerra e che ancora è convinto che la rivoluzione si possa fare sul serio andando a Roma coi forconi, che noi al massimo le rivoluzioni — oggi — le facciamo comodamente seduti su una sedia da ufficio Renberget (IKEA, 44,99€) commentando i post di Mentana sui social tramite un profilo fake che ha come avatar la foto del nostro collega di scrivania?
Niente paura: non c'è nessun bisogno di tornare in trincea durante la campagna di Russia senza riscaldamento o di attraversare di nuovo l'Adige con gli scarponi lisi e zuppi d'acqua — per altro senza le motivazioni che potrebbe dare un corso di rafting con una GoPro attaccata alla canoa — mentre mormora calmo e placido. Non c'è nemmeno da imparare a navigare il deep web con Salvatore Aranzulla.
Però, se anche tu senti fortissima la necessità di trovarti in prima fila a combattere (per) un'ideologia ma ti manca il tempo, la voglia, il coraggio o anche solo un connessione a banda larga decente, se il bisogno di metterci la faccia — senza prima ripassarla con una bandiera in trasparenza à la #jesuis — ti è risalito improvvisamente a galla come l'impepata di cozze che hai postato ieri su Instagram, se vuoi evolverti da semplice troll a subcomandante Narcos e saltare subito al livello rage against the machine senza passare dalla fase minchia bordello, sappi abbiamo la pillola che fa per te.
Un suppostone nero da tre etti interamente sintetizzato a partire da un principio attivo sovversivo e carbonaro, pronto a sprigionare tutta la sua furia insurrezionale quando e dove meno te lo aspetti: gli Algiers, band ufficialmente originaria di Atlanta (anche se i suoi membri si dividono ormai principalmente tra Londra e New York) appena uscita con il secondo album The Underside of Power, un'opera multi-razziale che grida con un suono moderno il dolore della negritudine (anti) coloniale dalle parti basse degli Stati Uniti alle parti alte della classifica di Pitchfork, mischiando sapientemente gospel e post-punk per sfidare il sistema capitalista con virtuosa indignazione.
La loro musica è un bilanciamento stereo epico quanto caotico, come se in un orecchio ti stessero sussurrando un trattato marxista mentre nell'altro ti risuonasse un organo da chiesa, accompagnato da un coro soul che ti dice in quale ordine spaccare le vetrine dei padroni. Una roba che non fa domande né prigionieri, ma richiede risposte e azioni immediate, vuole penitenza e confessioni, mentre ti fa a pezzi tutte le aspettative.
Prendetene tutti, questa è una strage di corpi.
E non abbiate paura delle conseguenze: anzi, se sentite che l'effetto sta per svanire, prendetene un'altra, e poi un'altra. E poi un'altra ancora.
Almeno finché qualcuno non vi segnala alla polizia postale, i moderatori vi chiudono temporaneamente l'account di Facebook e vi tocca tornare a lavorare.