Granchi clamorosi, abbagli madornali, giudizi affrettati e valutazioni superficialmente premature. Tutto figlio di un vecchio esperimento di Spineless che voleva portare all'estremo il concetto di prima impressione recensendo robe (prevalentemente dischi), ma senza ascoltarle: solo dando una breve occhiata alla copertina. Ci tiene a precisare, Spineless, che non è che pensava fosse una grande idea: semplicemente non aveva molto tempo da dedicare alla cosa. Se non vi piacciono o le trovate stupide, è normale: dopotutto, è risaputo che la fretta è una cattiva consigliera e che l'apparenza inganna. D'altro canto, al giorno d'oggi la presentazione e l'impiattamento son tutto, e stimati accademici hanno dimostrato che il primo, inconscio verdetto sulle cose si forma nei primi sette secondi. Spesso è sbagliato, o quantomeno rivedibile, ma a volte capita pure che ci si azzecca. E in quel caso è tutto tempo risparmiato.
Il nono disco dei Coral è un bubbone masticato da un'estetica retrofuturista e risputato da un giapponese sotto acidi dentro un videogame bubblegum-pop. Poi c'è quella cosa del leone, anche.
Il nuovo disco del duo formato da Dominic Maker e Kai Campos scala le vette della post-dubstep senza nessuna paura dei fili dell'alta tensione. Occhio a non fare la fine di un Icaro 2.0, però.
Più che ferro e vino, ago e uncinetto. Il nuovo di Sam Beam è un disco che pare il centrino di nonna: ricamato a mano secondo un'arte antica, quasi a occhi chiusi, senza timori né tremori di sorta.
Con il loro nuovo disco gli australiani PVT provano a non lasciarsi incasellare in nessuna corrente specifica o movimento artistico strutturato, definendo una nuova geometria vetero-modernista.
I Sex Pizzul ci regalano la copertina dell'anno, votata all'unanimità, da tutti i campi collegati: un album da ascoltare con la radiolina, minuto per minuto. Interruzioni solo in caso di gol o risultato finale.
Il quarto disco dei Black Mountain è un lavoro visionariamento confuso come un mercatino delle pulci: una camicia di jeans della Standa, il casco di Giacomo Agostini e molta altra carne al fuoco.
Il nuovo disco degli Wild Beasts potrebbe essere il perfetto incrocio tra Metropolis di Fritz Lang e Drive In (sì, il buon vecchio programma di Italia 1): intransigenza e lustrini, sobrietà e caciara.
Il nuovo di Anohni è un disco che ha perso qualche lettera (o nota, che dir si voglia) per strada. Un disco, come dice il titolo, senza speranza: la speranza di imparare come si scrive quello che l'ha composto.
Delusione per il terzo album dell'enfant prodige dell'elettronica d'oltremanica: James Blake ci presenta un disco sbiadito e stinto, frutto di un imperdonabile errore di candeggio.
Ci dispiace dirlo, ma il nuovo disco di David Bowie altro non è che un misero riciclo dei fasti passati, una geniale minestra riscaldata, e pure col minimo sforzo. Shame on you, Duca Bianco!
Una giovane band di rocker lombardi intrappolati (speriamo per sempre) in un mondo affascinante ma infame, ispirato alla nuovissima collezione LEGO: Legends of Chima.
Natasha Kahn si regala al pubblico come mamma l'ha fatta in un album che già dal titolo riporta in auge un femminismo mai sopito. Alla faccia di Francesco Bianconi: patriarcato, scànsate!
I Mouse On Mars tornano indietro dal futuro per raccontarci, con il loro nuovo lavoro, come la comunicazione linguistica cambierà in breve tempo. Anzi, come è già cambiata.
Una recensione affrettata che svela i pochi, semplice passi con cui i Godspeed You! Black Emperor sono riusciti ad ammaliare sotto traccia le giovani generazioni indie.
Malcom Middleton si libera finalmente del fantasma di Aidan Moffat e degli Arab Strap dando vita a Human Don't Be Angry, il suo progetto più giocoso, nostalgico e spensierato.
Soap&Skin torna con un album che non lascia spazio a trucchi di make-up e ti si presenta alla porta di prima mattina proprio così: al naturale, acqua e sapone.
Con il loro secondo album gli XX riescono senza particolari sforzi a bissare i risultati del loro debutto e a ripetersi, proprio letteralmente, per filo e per segno.
Un disco che è un vero e proprio mistero questa ottava fatica degli Archive. Qualcuno ha chiesto un riscatto? Dove saranno finiti? Se avete informazioni, telefonate al numero in sovraimpressione.
Una tragica storia di dipendenza, scambi di persona e domande irrisolte: l'ennesimo dramma del rock, Ed Sheeran nei panni dell'ennesimo giovane fregato da un successo troppo rapido.
Un disco che entrerà nella storia della psichiatria, quello delle due sorelle Nicole and Natalie Albino, ma non certo in quella della parrucchierìa.
Frank Ocean si mette in proprio con un omaggio alla grande Olanda di Cruyff: un disco in tinta unita, senza l'ombra di una sfumatura e ricco di vitamina C.
Il primo (e forse ultimo) lungometraggio di David Longstreth: un film adatto alla visione da parte di minori, a patto che i minori in questione siano completamente strafatti di LSD.
Primo full-lenght per i Redrum Alone, smanettatori folli dalla Puglia profonda: un disco che aiuterà gli esperti di antropologia quando portano i loro bambini allo zoo comunale.
Seconda uscita sulla lunga distanza per Santigold: un disco imperiale e imperialista che prova a resuscitare un maestro del neoclassicismo.
A sette anni di distanza tornano i Saint-Etienne: un disco che fatica a trovare una direzione precisa, perso, senza campo e connessione dati e ormai più incapace di leggere una mappa cartacea.
Nuovo esperimento social-musicale per i Dirty Projectors. Sei abbondatemente sovrappeso e vuoi imparare a suonare la chitarra? Ecco il disco che fa per te.
Laetitia Sadier torna a viaggiare da sola con questo secondo album a suo nome: un disco dove il confine tra burloneria scherzosa e maleducazione è molto labile.
Album d'esordio per il duo canadese Trust: un'inspiegabile avversione per le vocali e per il gusto nelle scelte di make-up.
Gli emiliani Portfolio esordiscono sulla lunga distanza con un album fuori dal tempo: un misto di vintage, tenerezza e sfruttamento minorile domestico.
La nuova collaborazione tra due mostri sacri della musica sperimentale contemporanea non dà i risultati sperati. Nel senso che proprio non si realizza. Probabile che uno dei due abbia sbagliato indirizzo.
Il nuovo disco di Mike Shiftlet guarda al futuro con inaspettato coraggio e fiducia nei propri mezzi, senza la minima paura di scoprire in anticipo il proprio destino o anche solo quello a cui andrà incontro.
È proprio vero che quando ti serve un lavavetri il semaforo è sempre verde. Come conferma Matthew de Zoete alle prese con il photo shoot per il suo ultimo album.
Gli ex Morning Benders virano sul pop nella sua accezione più eclettica e confusa: troppe influenze senza capo né coda, se non altro dichiarate fin dalla copertina.
I Foals selezionati da !K7 Records: basta DJ e indie rock con le chitarre. I mixtape ai tempi di Instagram: gattini tabagisti come se piovesse.
Secondo disco per i Kotki Dwa: rude, incontaminato, rupestre come l'orizzonte in fuga di una poesia di Montale a picco sulle bianche scogliere di Dover.