Chi?

Chi?

Una giovane band di rocker lombardi intrappolati (speriamo per sempre) in un mondo affascinante ma infame, ispirato alla nuovissima collezione LEGO: Legends of Chima.

31 Marzo 2013

Una volta un canzone del genere l'avrebbero chiesta a Cristina d'Avena. E lei c'avrebbe deliziato narrandoci con quattro note un po' frou-frou una dolce storiella di cuccioli di leone, piccoli coccodrilli e teneri aquilotti che giocano a un incrocio tra Need for Speed e Dungeons & Dragons nella foresta di Avatar, ruzzando a rotolarsi tra le fresche frasche con lambrette, maschere, spadoni. Ma che in fondo in fondo si vogliono un gran bene.

Bei tempi. Sì, perché al giorno d'oggi invece una canzone del genere l'han chiesta ai Finley. Dice, chi? Dico, dai non mi rovinar la suspense, che a parlar delle magiche sfere di CHI non c'ero ancora arrivato.

I Finley sono un gruppetto di ragazzotti di Legnano scoperti da Claudio Cecchetto. Claudio Cecchetto è uno che andrebbe denunciato per il suo dubbio gusto musicale (che è quasi pari alla sua capacità di trasformare in oro praticamente tutto ciò che tocca), in quanto, non contento di aver portato alla ribalta una droga collettiva ammazza-neuroni come il Gioca Jouer, ha poi introdotto senza ritengno nel panorama canoro italiano tutti gli artisti di un certo livello che ne hanno fatto la triste storia negli ultimi trent'anni (non vogliamo far nomi, quindi faremo i nomi d'arte: Jovanotti e gli 883 su tutti). Legnano invece è un agglomerato suburbano di cinquantamila anime che compare solo nei giorni di nebbia interrompendo il flusso di traffico dell'Autostrada dei Laghi, proprio a metà della spianata che giace placida nella sua umidità padana tra Busto Arsizio e Lainate.

Questo per dire che, come tutti i pulcini covati dal buon Claudio, anche i Finley nel giro di nemmeno un lustro hanno raggiunto un successo tale che il sindaco di Legnano è stato costretto a insignirli della benemeranza civica per aver fatto conoscere il nome della città fin quasi ai confini di Settimo Milanese e Somma Lombardo. In pratica i Finley son diventati gli ambasciatori della legnanosità del mondo, pensa te. Deve esser per quello che la basilica di San Magno ha avuto un brusco calo di visitatori, passando da diciassette a cinque nell'ultimo anno.

Ma eccoci quindi all'attualità, che vede la strada dei Finley incrociarsi con quella dei nostri adorati mattoncini colorati.

Parliamo dei tre pezzi composti per il lancio della nuova collezione LEGO — Legends of Chima (Unleash the Power, Day of Glory e Horizon), che confermano la svolta, nella dorata carriera della band, già annunciata con la partecipazione a quella comparsata che è la sigla di Undici, il talk show sportivo che mancava nella programmazione di Mediaset Premium. Per colmare il famoso buco di palinsesto del lunedì sera dico, quando lo share medio è dello 0,61% e l'unico concorrente da superare è Il Processo di Biscardi. Svolta che può essere riassunta in: "Fatti due conti, forse ci conviene scriver canzoni per le multinazionali piuttosto che mettere insieme righe improbabili come «quasi blu metallici / quasi come elettrici / quegli occhi che ricordo / anche se non li ho visti mai», buone giusto per quelle ragazzine che prima si strappano i capelli sotto il palco di TRL e poi vanno a scaricare Scegli Me da eMule". Una volta si sarebbe detto che si son venduti. Al giorno d'oggi invece si dice che hanno svolto un'accurata indagine di mercato.

Jumanchji

Appurato ciò, è quindi un attimo ritrovare i nostri eroi incoscientemente catapultati nella Terra di Chima a intralciar le scaramucce tra i cari Laval e Crogger, che — come narra la storia — hanno cose molto più importanti da fare che star ad ascoltare dei giovanotti che giocano a fare i rocker in una realtà aumentata alla James Cameron. Deve esser per questo che i quattro, nonostante l'atteggiamento da duri probabilmente previsto dal succoso contratto, risultano — a una più attenta analisi — visibilmente intimoriti (a riprova della faccenda, la constatazione che il cantante, ha un immancabile calo di voce alla Darth Vader che cade puntuale prima di ogni ritornello, malamente camuffato da un filtro messo su con ProTools all'ultimo momento): è probabile che si chiedano dove son capitati, che mondo è mai quello dove le chitarre elettriche, i microfoni, gli amplificatori (e anche un paio di inspiegabili televisori al plasma) funzionano perfettamente pure sulla collinetta brulla, fatta solo di sassi e sterpi dove sono stati relegati? Evidentemente non sanno che nel Mondo di Chima, l'energia non passa attraverso jack da 1.5mm e cavi da 220v, ma scaturisce dal CHI, una risorsa naturale ultra-potente che scorre nelle Sacre Acque, contiene la potenza pura della natura in forma condensata e, se non correttamente utilizzata, poi ti lascia addosso tutto uno strato elettrostatico fin troppo riconoscibile, una roba che poi la gente ti addita per strada gridando: «Aiuto, son di nuovo tra noi i sieropositivi degli anni '80!». Sì, quelli che nella pubblicità venivano indicati con un alone rosa fosforescente attorno. Brutta storia.

Ma non drammatizziamo e cerchiamo di valutare il poco di buono che si intravede. Perché, nel nostro inguaribile ottimismo, ci affiora alla mente — nemmeno troppo spontaneo — il pensiero che alla fine non tutto il male vien per nuocere: se è vero infatti che non è ben chiaro come ci sian finiti, lì, dentro a quello zoo mascherato, i Finley, la concreta speranza è che non riescano a uscirne, almeno a breve. Il motivo è semplice, e sta nel fatto che, seppur una volta paradiso naturale incontaminato, il Regno di Chima è ora invece un campo di battaglia, riarso di sgommate, combustioni energetiche e scosse elettriche, una terra difficile e inospitale, sconvolta da una guerra fratricida: a tutti gli effetti una prigione digitale da cui non sarà agevole evadere, almeno fin quando la pace non trionferà.

Perché la pace trionferà, di questo siam certi. Ce l'ha assicurato Cristina d'Avena. Però non sarà una passeggiata, per i nuovi alfieri della chitarra distorta italica. Non come ai bei tempi del loro debutto, Tutto è Possibile (2006), quando, travolta dai primi inattesi successi, la band finiva fissa ogni sabato sera a far chiusura al bar dell'Alcatraz, tutti ciucchi persi, dopo "notti di coca e Havana Club". Una volta sarebbe bastato squillar sul cellulare al papi-Claudio e balbettare con la bocca impastata «Chiamaci un taxi che ci riporti da questo universo incantato fin sulle rive del nostro amato fiume Olona, ai piedi delle prealpi varesine». Al giorno d'oggi invece, nella migliore delle ipotesi, tocca montar in groppa a uno Speedorz e sperar — quando si chiede la ricevuta all'autista e lui si toglie il casco — che sia un corvetto cinguettante e batuffoloso, e non un alligatore con un sorriso a 106 denti e l'Atlantean di Conan il Barbaro nella tozza, robusta e palmata zampetta.

Note a margine
Questa recensione affrettata era stata commissionata in esclusiva per legolovers.com ed è comparsa per la prima volta sull'omonimo sito, che poi è stato eliminato dall'internet per motivi a oggi non del tutto chiariti: le indagini sono ancora in corso, ma si sospettano forti pressioni da parte della lobby dei giocattoli. La riportiamo anche qui per questioni di vanagloria, completezza e perché Spineless è come il maiale: non si butta via nulla. Ma soprattutto per non dimenticare, a perenne memoria di una giovane, imbarazzante, band che non ha mai perso la voglia di giocare, anche (e soprattutto) quando il gioco si fa pericoloso.
Leggi anche

Doppelgänger

Impronte su un bagnasciuga innevato
Una canzone è per sempre