Dicono che l’arte della recensione è morta: se così non fosse, qui proviamo a dargli il colpo di grazia, e anche a sotterrarla sotto un bel po’ di palate di terra ben pestata. In modo che, se qualcosa va storto, al massimo poi si può riciclare come comparsa in The Walking Dead. È un lavoro sporco, ma qualcuno lo deve pur fare. Spineless si prende sulle spalle l'ingrato compito e lo porta a termine con risultati altalenanti, in base a quanto si è svegliato storto quella mattina. A volte in maniera superficiale, dispensando giudizi prematuri e ingiustificati solo sulla base dell'artwork di un disco, della quarta di copertina di un libro o del trailer di un film. Altre ci mette un po’ più la testa e prova a non sparar sentenze per sentito dire, producendo così dei pipponi senza fine che poi deve prender ferie solo per rileggerli e cercare (con scarsi risultati) gli immancabili refusi. In entrambi i casi, si scusa in anticipo per quel viziaccio che non riesce a togliersi: di avere delle opinioni, s'intende.
Dark, la famosissima serie tedesca che nessun c'ha capito un cazzo, appare meno complessa se spiegata attraverso i più noti luoghi comuni sui crucchi.
Fluido mica nel senso che avete pensato voi, brutti maiali. Fluido nel senso di aperto all'evoluzione. I Baroness con Gold & Grey dimostrano che non è un ossimoro.
Matthew Dear è un tipo buono per tutte le stagioni, a suo agio sia durante un compleanno di bimbetti che in mezzo al porcaio di una festa d'addio al celibato.
Gli Amnesia Scanner ci provano con il mainstream convinti di ricevere un due di picche e invece quello, contro ogni previsione, ci sta subito al primo appuntamento.
Il nono disco dei Coral è un bubbone masticato da un'estetica retrofuturista e risputato da un giapponese sotto acidi dentro un videogame bubblegum-pop. Poi c'è quella cosa del leone, anche.
Oliver Ackermann tiene sottocontrollo le sue crisi di astinenza da pedal junkie con il disco più accessibile del catalogo degli A Place To Bury Strangers. Si fa per dire, ovviamente.
Tra la nicchia e il mainstream, senza essere fondamentalmente nessuna delle due cose: i Decemberists provano per una volta a uscire dal loro paradosso, ma finiscono per rimanere a metà dell'opera.
Un disco che ti piace ma non sai perché, e alla fine pure chìssenefrega. In altri termini, gli Wombats che la sfangano anche questa volta, nell'unico modo di cui son capaci: facendo gli Wombats.
All'alba del terzo album, i Django Django fanno finalmente davvero centro: un disco intelligente e divertente, che mette in mostra un ricercato campionario di smorfie e le mischia con gusto ballerino.
I Black Rebel Motorcycle Club continuano la loro operazione di resistenza con un trucco semplice e banale solo in apparenza: riuscire a non essere né di moda, né fuori moda. Provateci voi, se vi riesce.
Un personaggio così bizzarro che manco lo diresti che è crucco, con un talento tutto suo per danzare sul filo del ridicolo senza diventare mai la caricatura di se stesso.
Archy Ivan Marshall torna dalla sua gitarella di piacere all'inferno fresco come una rosa appassita e ci lascia con consapevolezza che King Krule è a tutti gli effetti il progetto più innovativo degli ultimi anni.
Il nuovo disco del duo formato da Dominic Maker e Kai Campos scala le vette della post-dubstep senza nessuna paura dei fili dell'alta tensione. Occhio a non fare la fine di un Icaro 2.0, però.
La felicità improvvisa di Beck, artista californiano che fino a oggi mai aveva tirato fuori una roba così upbeat, spensierata e radio-friendly. In una parola, così californiana, appunto.
Il sequel del capolavoro di Ridley Scott, Blade Runner 2049, non esce con le ossa rotte dal confronto con l'originale. Solo un po' di reumatismi dovuti al tempo di merda.
Questa volta Darren Aronofsky piscia di gran lunga fuor dal vaso e mette decisamente troppa carne al fuoco, per poi darla in pasto al grande pubblico ancora troppo cruda.
Affinità e divergenze tra la companga Mackenzie Scott e se stessa. Il progetto Torres arriva alle soglie dell'età adulta: tra suggestioni sensuali e ambiguità di genere, un'esperienza di ascolto completamente immersiva.
Più che ferro e vino, ago e uncinetto. Il nuovo di Sam Beam è un disco che pare il centrino di nonna: ricamato a mano secondo un'arte antica, quasi a occhi chiusi, senza timori né tremori di sorta.
James Lavelle rimane da solo alla guida del progetto UNKLE e la cosa dà dei risultati tutt'altro che deleteri. The Road: Part 1 è un meraviglioso concept album.
Musica elettronica sperimentale prodotta da un ingegnere del suono grunge? Esatto: la collaborazione tra Ben Frost e Steve Albini dà risultati insperati. O forse esattamente quelli che avremmo dovuto aspettarci.
Pezzi da classifica e poche idee. O forse troppe. Sicuramente, ben confuse. Il disco di una boy band che prova a imitare i Foster The People. Con scarsi risultati, tra l'altro.
Ottimismo a prescindere ed empatia selettiva: tornano i Broken Social Scene con un disco che è proprio quello che ti aspetteresti dopo averli persi di vista per così lungo tempo.
Tu quoque, Kristoffer Rygg? Ovvero di quello che tocca fare a una ex black metal band norvegese per tirar fuori il miglior album della proprio carriera. Tipo ammazzare Giulio Cesare.
Con il loro nuovo disco gli australiani PVT provano a non lasciarsi incasellare in nessuna corrente specifica o movimento artistico strutturato, definendo una nuova geometria vetero-modernista.
Avete presente Trainspotting di Danny Boyle? Ecco: stesso scrittore, stesso regista, stessi attori: non sappiamo niente dei cameraman, ma possiamo già definirlo un film a dir poco auto-citazionista.
Sono arrivati. Son roba strane da un altro mondo e fanno una gran fatica a farsi capire. Che messa così è un po' l'autobiografia di Denis Villeneuve, regista di Arrival.
Il nuovo film di Jim Jarmusch è come una poesia sul nulla, ma così tanto nulla, un nulla così grosso, pesante, pervasivo, invadente: un nulla così presente che sembra quasi pieno di poesia.
I Sex Pizzul ci regalano la copertina dell'anno, votata all'unanimità, da tutti i campi collegati: un album da ascoltare con la radiolina, minuto per minuto. Interruzioni solo in caso di gol o risultato finale.
Il quarto disco dei Black Mountain è un lavoro visionariamento confuso come un mercatino delle pulci: una camicia di jeans della Standa, il casco di Giacomo Agostini e molta altra carne al fuoco.
Il nuovo disco degli Wild Beasts potrebbe essere il perfetto incrocio tra Metropolis di Fritz Lang e Drive In (sì, il buon vecchio programma di Italia 1): intransigenza e lustrini, sobrietà e caciara.
Il miglior breakdown di Cafè Society di Woody Allen risponde a una domanda a sorpresa: cosa c'entra Facebook con Laura Palmer e i vampiri di Twilight?
Il nuovo di Anohni è un disco che ha perso qualche lettera (o nota, che dir si voglia) per strada. Un disco, come dice il titolo, senza speranza: la speranza di imparare come si scrive quello che l'ha composto.
Delusione per il terzo album dell'enfant prodige dell'elettronica d'oltremanica: James Blake ci presenta un disco sbiadito e stinto, frutto di un imperdonabile errore di candeggio.
Ci dispiace dirlo, ma il nuovo disco di David Bowie altro non è che un misero riciclo dei fasti passati, una geniale minestra riscaldata, e pure col minimo sforzo. Shame on you, Duca Bianco!
Una giovane band di rocker lombardi intrappolati (speriamo per sempre) in un mondo affascinante ma infame, ispirato alla nuovissima collezione LEGO: Legends of Chima.
Natasha Kahn si regala al pubblico come mamma l'ha fatta in un album che già dal titolo riporta in auge un femminismo mai sopito. Alla faccia di Francesco Bianconi: patriarcato, scànsate!
I Mouse On Mars tornano indietro dal futuro per raccontarci, con il loro nuovo lavoro, come la comunicazione linguistica cambierà in breve tempo. Anzi, come è già cambiata.
Una recensione affrettata che svela i pochi, semplice passi con cui i Godspeed You! Black Emperor sono riusciti ad ammaliare sotto traccia le giovani generazioni indie.
Malcom Middleton si libera finalmente del fantasma di Aidan Moffat e degli Arab Strap dando vita a Human Don't Be Angry, il suo progetto più giocoso, nostalgico e spensierato.
Soap&Skin torna con un album che non lascia spazio a trucchi di make-up e ti si presenta alla porta di prima mattina proprio così: al naturale, acqua e sapone.
Con il loro secondo album gli XX riescono senza particolari sforzi a bissare i risultati del loro debutto e a ripetersi, proprio letteralmente, per filo e per segno.
Un disco che è un vero e proprio mistero questa ottava fatica degli Archive. Qualcuno ha chiesto un riscatto? Dove saranno finiti? Se avete informazioni, telefonate al numero in sovraimpressione.
Una tragica storia di dipendenza, scambi di persona e domande irrisolte: l'ennesimo dramma del rock, Ed Sheeran nei panni dell'ennesimo giovane fregato da un successo troppo rapido.
Un disco che entrerà nella storia della psichiatria, quello delle due sorelle Nicole and Natalie Albino, ma non certo in quella della parrucchierìa.
Frank Ocean si mette in proprio con un omaggio alla grande Olanda di Cruyff: un disco in tinta unita, senza l'ombra di una sfumatura e ricco di vitamina C.
Cronenberg rilegge DeLillo a modo suo, ovvero con un film epilettico impossibilitato a convogliare un qualche concetto importante sul futuro, qualunque esso sia.
Il primo (e forse ultimo) lungometraggio di David Longstreth: un film adatto alla visione da parte di minori, a patto che i minori in questione siano completamente strafatti di LSD.
Primo full-lenght per i Redrum Alone, smanettatori folli dalla Puglia profonda: un disco che aiuterà gli esperti di antropologia quando portano i loro bambini allo zoo comunale.
Seconda uscita sulla lunga distanza per Santigold: un disco imperiale e imperialista che prova a resuscitare un maestro del neoclassicismo.
A sette anni di distanza tornano i Saint-Etienne: un disco che fatica a trovare una direzione precisa, perso, senza campo e connessione dati e ormai più incapace di leggere una mappa cartacea.
Nuovo esperimento social-musicale per i Dirty Projectors. Sei abbondatemente sovrappeso e vuoi imparare a suonare la chitarra? Ecco il disco che fa per te.
Laetitia Sadier torna a viaggiare da sola con questo secondo album a suo nome: un disco dove il confine tra burloneria scherzosa e maleducazione è molto labile.
Album d'esordio per il duo canadese Trust: un'inspiegabile avversione per le vocali e per il gusto nelle scelte di make-up.
Gli emiliani Portfolio esordiscono sulla lunga distanza con un album fuori dal tempo: un misto di vintage, tenerezza e sfruttamento minorile domestico.
La nuova collaborazione tra due mostri sacri della musica sperimentale contemporanea non dà i risultati sperati. Nel senso che proprio non si realizza. Probabile che uno dei due abbia sbagliato indirizzo.
Il nuovo disco di Mike Shiftlet guarda al futuro con inaspettato coraggio e fiducia nei propri mezzi, senza la minima paura di scoprire in anticipo il proprio destino o anche solo quello a cui andrà incontro.
È proprio vero che quando ti serve un lavavetri il semaforo è sempre verde. Come conferma Matthew de Zoete alle prese con il photo shoot per il suo ultimo album.
Gli ex Morning Benders virano sul pop nella sua accezione più eclettica e confusa: troppe influenze senza capo né coda, se non altro dichiarate fin dalla copertina.
I Foals selezionati da !K7 Records: basta DJ e indie rock con le chitarre. I mixtape ai tempi di Instagram: gattini tabagisti come se piovesse.
Secondo disco per i Kotki Dwa: rude, incontaminato, rupestre come l'orizzonte in fuga di una poesia di Montale a picco sulle bianche scogliere di Dover.
Nell'ultimo (speriamo) capolavoro di Lars Von Trier Maria Antonietta, Serge Gainsbourg e Donald Sutherland, con i loro gravi problemi in famiglia, si preparano alla fine del mondo. Previsto brutto tempo.
Brutto brutto brutto. Dico Cassandra's Dream di Woody Allen: una storia di fratelli che a raccontarla sembra più complicata di quel che è. In ogni caso finisce così.
Una collezione di CD e uno che non sapeva fare le recensioni, quelle perfide, sottilmente sarcarstiche e dolorosamente chirurgiche, perché alla fine ci trovava sempre qualcosa di buono.
Da un serissimo fumetto di Frank Miller un film che fa ridere per non piangere. Un circo splatter imbarazzante che nemmeno i freaks negli anni '30. Trecento, come i motivi per non vederlo.
Una recensione da poltrona della parrucchiera su quel film di Steven Shainberg che dovrebbe essere un ritratto immaginario di Diane Arbus e invece si perde in una intricatissima foresta di pelo.
Ormai dovreste averlo capito, chi governa il mondo. In caso contrario ecco che ricompare, come dal nulla, Jarvis Cocker a spiegarvelo. Con parole, diciamo, colorite.
Dreamt for the Light Years in the Belly of a Mountain può tenervi compagnia qualunque sia il vostro stato d'animo. Salvarvi la vita, forse. Almeno a voi.
Tornano i Built to Spill con il nuovo You in Reverse. Soprattutto torna Dough Martsch, con quella sua faccia un po' così, quell'espressione un po' così.
Una recensione fatta col naso. Quella che avrebbe dovuto essere la storia di un assassino in un'atmosfera tutta essenze e aromi non si rivela all'altezza del libro che l'ha ispirata.
Una recensione breve e così criptica che chiamarla recensione pare un complimento immeritato. Ma non è che La stella che non c'è di Gianni Amelio meriti molto di più, ecco.
L'arte del collage messa in musica: mash-up, taglia e cuci, copia e incolla. Greg Gillis ci serve la prima opera originale fatta interamente di roba rubata ad altri.
Indie-rock brasileiro ne abbiamo? Certo che sì, ed è una roba così pacchiana, assurda e fuori luogo da risultare quasi sexy. Almeno a detta loro.