Diciamo fetore, piuttosto

Diciamo fetore, piuttosto

Una recensione fatta col naso. Quella che avrebbe dovuto essere la storia di un assassino in un'atmosfera tutta essenze e aromi non si rivela all'altezza del libro che l'ha ispirata.

1 Ottobre 2006

Se avete letto il libro di Patrick Süskind, risparmiate i soldi del biglietto e trovate il modo di organizzarvi diversamente la serata. Se non avete letto il libro di Patrick Süskind, risparmiate i soldi del biglietto e investiteli nell'acquisto del libro di Patrick Süskind — poi leggetelo. Se invece non avete letto il libro di cui sopra e non avete nemmeno voglia di aprirlo, come direbbe mio nonno:

Allora fate un po' come cazzo vi pare.

D'altronde, se Kubrick, dopo averlo letto — il libro di Patrick Süskind — pare abbia commentato: «Infilmabile», un motivo ci sarà. Ma non divaghiamo, che questa è la cosa più drammaticamente lontana, da Kubrick dico, putroppo.

C'è un ragazzino autistico e un po' feticista, perennemente imbronciato al punto da candidarsi a prossimo sex-symbol internazionale per quindicenni.

Il ragazzino, obiettivamente, porta una sfiga del diavolo: più o meno tutti quelli con cui viene a contatto, entro breve tirano le cuoia.

Il ragazzino, a questo punto — con un ragionamento al limite anche comprensibile — deve pensare: tanto vale che li faccia fuori io direttamente, mi specializzerò in belle ragazze. E così va a far danni in giro per l'Europa.

Un film che ambisce a farsi rispettare come tutti i film che si rispettano.

Come in tutti i film che si rispettano, arriva poi il momento in cui lo beccano e lo condannano a morte ed è proprio qui che lui dà il meglio di sé e sfugge all'esecuzione presentandosi sulla forca vestito, come suggeriva Marilyn, solo di due gocce di Chanel n°5.

Il male però — come in tutti i santi film che vogliono farsi rispettare — non può trionfare, quindi due susine faranno infine giustizia, così che il tutto si concluderà... a morsi.

La graffetta rossa
A nervous bug in my system