A nervous bug in my system

A nervous bug in my system

Una storia breve di plettri, ritagli di giornale e indie-rock. Per concludere di nuovo che l'ottimismo è un lusso che non ci possiamo permettere.

3 Ottobre 2006

Cercavo un pletto dietro il divano e mi capita tra le mani un vecchio ritaglio di giornale: così va la vita, a volte.

Un'intervista di un paio di anni fa a Lou Barlow, co-fondatore degli indimenticati (e indimenticabili) Dinosaur Jr., nonché mente, nel corso degli anni, dei vari Sebadoh, Folk Implosion e tutti i mille progetti solisti e paralleli dentro cui si è perso nel vano tentativo di assecondare la propria mente (impresa per altro pressoché impossibile per uno che si è ritrovato ad essere l'indiscusso — per quanto involontario, sta lì il punto — padrino dell'estetica lo-fi e del movimento indie americano degli ultimi due decenni).

Ma dicevamo, i plettri sono come i Papi: morto (perso) uno, se ne fa (compra) un altro. Quindi mi siedo e inizio a (ri)leggere.

Mi inchiodo su uno scambio del genere, dove mi immagino il buon Lou, che — dietro gli occhialoni con la montatura grossa da nerd — mette su una faccia come il culo di quelle che te le raccomando:

Davvero ho detto questo? Divertente... si vede che nel frattempo ho cambiato idea.

Così risponde quando gli fanno notare come, nell'ultima intervista fatta, avesse dichiarato che da quel momento in poi tutta la sua musica sarebbe uscita sotto la denominazione di Folk Implosion (mentre il disco appena presentato ha semplicemente il suo nome in copertina: Lou Barlow).

Diciamo che lì per lì mi ha ricordato un approccio alla coerenza vagamente mutuato da Oscar Wilde:

La coerenza è l'ultimo rifugio delle persone prive d'immaginazione.

In altri momenti avrei ribadito che una citazione del genere è l'ultimo rifugio delle persone prive di coerenza, ma per una volta mi son voluto lasciar cullare da un sensuale pensiero contro natura e mi son chiesto: e se la vita — sempre lei — fosse semplicemente così, molto più easy di quello che sembra?

Subito — mannaggia a me — mi è apparso un ometto barbuto, vestito di bianco, che tra un sorso e l'altro del Martini Dry che aveva in mano, mi ha rimbrottato aspramente: «Salve, sono Dio. Per favore, non diciamo cazzate.»

Ho abbassato il capo cosparso di cenere, ho chiesto all'istante umilmente perdono per quella che erroneamente era potuta sembrare la leggera brezza di una lontana ipotesi di ottimismo e mi son messo buono buono ad esercitare il mio pessimo finger picking.

Impresa ardua, del resto, almeno finché non decido di smettere di mangiarmi le unghie.

Diciamo fetore, piuttosto
Ammucchiata selvaggia