Confidenze sparse, confessioni imbarazzate e prese di posizioni scomode. Le prese, dico. Ma anche le posizioni, a volte. Spineless — di solito maestro nel passare inosservato, che ha fatto della riservatezza estrema la sua unica ragione di vita — a volte fa outing così: de botto, senza senso. Quasi sempre se ne pente un attimo dopo, ovvero quando — per definizione — è troppo tardi.
Un sedativo a base di Hope Sandoval, per riequilibrare l'impatto di qualunque onda sulle nostre giornate e trovare il volume giusto per compensarne la risacca.
Un ipnotico a base di Adrian Nicholas Matthews Thaws, per imparare a sfangarsela giorno per giorno, un giorno alla volta, senza guardare troppo avanti, che oggi è già abbastanza.
Quel che rimane dell'amore, sopra le foto di Jo Broughton, che ha ben pensato di immortalare i set dei film porno, subito dopo che son finite le riprese.
Un'oppioide a base di Vessels, per quando scavare sul fondo del barile e infilare la testa sotto la sabbia e far finta di niente è l'unica soluzione praticabile.
Una pillola ipnotica a base di Alt‑J, per quando vi renderete conto che state svanendo lentamente ed è già troppo tardi. Per rallentare il processo, o renderlo più sostenibile, almeno.
Un anestetico a base di Shearwater, per trasformare ogni addio in un arrivederci, ogni falsa speranza in un appuntamento da non perdere, ogni mezza verità in un giuramento di sangue.
Un antipsicotico a base di Neon Lights, per combattere la comune credenza che divertirsi sia obbligatorio e che musica e ballo vadano per forza a braccetto. Su, non scherziamo.
Elogio della pirateria digitale, emozioni a 128k e sharing di ricordi partigiani a banda stretta: per tutti quelli che hanno vissuto sulla loro pelle e non dimenticano il mondo prima dell'ISDN.
Un antidepressivo a base di Daughter, per quando la neve si fa sabbia o viceversa e tutto quello di cui hai bisogno è una voce che ti dica che anche se niente va bene, va bene lo stesso.
Cantiamo la bella stagione al ritmo della risacca, lungo la quale facciamo la guerra per non fare l'amore e il grunge, zuppo di sabbia e sale, ci lascia le penne.
Gli 883 e la nuova compilation Con Due Deca: ovvero l'arte di sedersi lungo il fiume e saper aspettare che passi il proprio successo quasi postumo, in Paese dove, prima o poi, si rivaluta tutto.
Mattina presto nella metropoli esplosa. Una riflessione sulla grammatica umana, una matura presa di coscienza dei propri intimi tempi verbali. Un guanto di sfida lanciato alle cose prima che succedano.
Un nostalgico alieno sotterraneo. Un vecchio dentro, perso al bar dell'autogrill. Uno che ha qualcosa a che fare con i Radiohead. Su, salutate Spineless!
I mille significati dello stare, il rimanere fermi come unica, vera, direzione ostinata e contraria, soprattutto quando intorno a te tutto si muove. Tipo questo vento porco.
Una storia d'amore campionata col senno di poi, tramite la lista di quel che rimane. L'amarezza di quando arriva il momento di tirare le somme e sai già che il risultato non è quello che avresti voluto.
Un concerto che inizia la sera della fine del mondo e finisce sette anni dopo. Una traversata, cadenzata sul ritmo di un disco troppo presto dimenticato. Un'amicizia sospesa, tra i suoi trucchi e i suoi rituali. Un remix fatto con i ricordi, i ricordi di uno che non sa smettere.
Te lo ricordi MSN Messenger, il nonno di Whatsapp? Pensa che una volta io ho chattato da solo, nel senso proprio con me stesso. Ma te lo sconsiglio, che poi si diventa ciechi.
Trasferirsi a Milano senza troppa convinzione: un dialogo (nemmeno troppo) immaginario con la propria vita nel momento in cui, come si dice, devi inziare sul serio a farci i conti.
Ve l'ho mai raccontato di quella che son rimasto tutta la notte sdraiato sulla spiaggia e ho rischiato di combinare un casino di proporzioni epiche? Speriamo che nessuno si sia accorto di nulla.
Una storia che c'ha come morale quella cosa che gli aiuti da casa non fanno mai male, come ci insegna la nostra subcultura malata di quiz televisivi. A sua insaputa, s'intende.
L'ennesima ammissione di inadeguatezza di fronte al bello nel suo senso più complesso. I Sigur Rós al Giardino di Boboli: un concerto difficile da raccontare anche se ne varrebbe la pena.
Come passare il tempo nelle stazione dove il tempo passa in un modo tutto suo. E un modo drastico di fermarlo, il tempo. Una roba da non fare a casa. E nemmeno altrove, fidatevi.
La storia di me e Bartolozzi, del bar di Cosimo e di tutte le cartoline che sbirciavamo scassinando la cassetta della posta. I ricordi degli altri come terapia rispettosamente invasiva.
Un elogio scanzonato della violazione di domicilio ben prima del boom di Airbnb: istruzioni dettagliate, scritte con affetto e fondamentalmente per il suo bene, dedicate al quel turista che per caso capiterà a casa mia.
La storia di me e di quello che, se non proprio un animale domestico particolare, poteva definirsi un coinquilino atipico. Alla faccia della pet therapy.
Le parole sono importanti, questo si sa. Il loro significato invece, quello è del tutto soggettivo. Vi ho mai raccontato di quella volta che mi misi a scrivere un vocabolario?
Quello che avanza di un Carnevale fallito in partenza. Una lettera di addio o forse di arrivederci. Una manciata di desideri inespressi, come coriandoli sospesi, per qualche stella filante caduta.
Io le mattine che c'ho la ruzza poi faccio delle robe che raccontarle c'ho fin vergogna (se non sapete cos'è la ruzza continuate a leggere). E comunque ci fosse mai qualcuno che mi asseconda!
Ebbene sì, questo è un trucco infallibile per rimorchiare le ragazze nei locali. Qualunque sia il locale, qualunque sia la ragazza. Qualunque sia, soprattutto, il concetto di "rimorchio" che avete.
Romeo e Giulietta al tempo dei saldi. Ovvero quando l'amore è in vetrina, ma nemmeno la sorte cinica e bara ha deciso che non puoi permetterti nemmeno quello.
Le mie supposte incapacità giornalistiche in un'intervista immaginaria a Kurt Vonnegut: tante sigarette, altrettante domande, poche risposte, qualche alzata di spalle. Mentre così va la vita.
Il mondo, il fumo, il rimto e le candele. Scopri cosa hanno in comune, o almeno cosa avrebbero in comune se tutto andasse come dico io, se davvero avesse ragione quella canzone là.
Io e il mio complicato approccio al nuovo mighty mouse della Apple: difficoltà tecniche, turbamenti erotici e tutto l'imbarazzo, l'impaccio e la delusione della prima volta.
Faceva una specie di freddo, ma c'era quella vecchia canzone dei Pavement a scaldare un guscio ovattato in cui rinchiudersi: quella musica che va ma non arriva mai, così dimessa, come una piazza. E niente altro.
La storia intima di una specie di omaggio confuso a una delle canzoni della vita. La storia triste di quando il potere alla parola (ma per favore) fa solo rima con rumore.
Una collezione di CD e uno che non sapeva fare le recensioni, quelle perfide, sottilmente sarcarstiche e dolorosamente chirurgiche, perché alla fine ci trovava sempre qualcosa di buono.
La meravigliosa idea di un talento equilibrista naturale e di come prima lei e poi tutto il resto delle cose del mondo hanno contribuito a renderla irrealizzabile. Maledetta, sottile differenza tra teoria e pratica.
La gente, non c'è verso di fargli capire le proprietà terapeutiche della malinconia. Che è convinta che la musica serva per tirarsi su e addirittura per ballare, la gente. Io non mi capacito proprio.
Quella volta che c'avevo qualcuno che mi seguiva come un'ombra. Una spia? Un assassino? Uno stalker? Un rappresentante della Bofrost? Porca miseria, che spavento che mi son preso!
Marta e il suo rapporto con il tempo. Amore e odio, ma sempre massimo rispetto per un concetto di ritardo a suo modo salvifico. Perché l'attesa, in fin dei conti, è tutto quello che ci resta.
Previsioni del tempo andato dall'alto di una panchina: ci sono giorni brutti, e anni da buttare. Secondo Gino erano quelli pari, per la precisione. E non aveva mica tutti i torti, a ben vedere.
Quel giorno che io e il mio Io si decise di partire e fare il giro del mondo a piedi e si dormì pure una notte fuori, in una pensioncina che ora tocca fargli una recensione da 10 e lode su Tripadvisor.
Una lettera a me stesso scritta in piena notte come se io fossi Beckett e me stesso non fosse un cazzo. Un monologo dell'assurdo frutto dell'insonnia che non porta da nessuna parte. O forse sì?
Il mare, un muretto e Irene. Rituali, abitudini e la donna della mia vita. Una storia sugli Etruschi, prevalentemente, ma non solo. Per scegliere da che parte stare.
Ma dove corre tutta questa gente che corre in questo mondo imbecille che ogni giorno ci tocca di correrci dentro? E soprattutto, poi ci arriva? Io c'ho forti dubbi al riguardo.
Una domanda complicata: come si fa a capire che si è innamorati o che si è ancora innamorati? Una riposta semplice semplice che non ti aspetti. Tipo il rasoio di Occam, ma meno affilata.
Una sinusoide alternata di stati d'animo alternati a incastro. Un pericolosissimo loop che rischia di fare male alla salute. Emozionarsi a catena alla lunga stanca.
Dalla rubrica misteri sull'internet. Ovvero di quella volta che mi rapirono un post e me restituirono senza commenti. Quella volta che la blogsfera si commosse sul serio.
Una dettagliata operazione di debunking, opportunamente corredata di numeretti e statistiche certificate, su quella storia delle catene di Sant'Antonio sull'internet.
Ti telefono o no, mi telefoni o no. Mi ami, ma quanto mi ami? Due solitudini perfettamente simmetriche in una scena senza parole sull'arte del riagganciare con muta rassegnazione.
Gatta di nome e di fatto, la mia gatta. Strana come tutti i gatti, ma — come tutti i gatti — strana a modo suo. Così strana che uno non può che innamorarsene a prima vista.
Wim Wenders in provincia. Sogni annebbiati, potenziali angeli, ma soprattutto una piuma. La sottile differenza tra scappare e volare via.
Le catene non quelle sadomaso. Le catene quelle tipo un virus che quando te lo passano devi fare qualcosa altrimenti ti cascano le braccia e poi muori. Alla faccia di Sant'Antonio.
Un disagio che ho riscontrato tra le dita delle mie mani, che porta a degli inconvenienti a volte un po' imbarazzanti. Eppure pare sia un mal comune, non saprei dire quanto gaudio.
Biglie di vetro e gomme da masticare. Ricordi di quando io il mondo non lo conoscevo manco di striscio eppure già me lo stavano portando via da sotto il culo.
Una storia di scarpe col tacco e improvvise, inspiegabili stravaganze mattutine. D'altra parte, il diavolo sta proprio lì, dicono.
C'hanno preso tutto, anche il Televideo. Una volta isola felice di austerità tedesca fluorescente, ora anch'esso specchietto per allodole gossippare, in mancanza d'altro.
Ho scritto un romanzo. O forse no. Magari è solo un'idea. Ma è un'idea rivoluzionaria che nella storia della letteratura non so mica se ci era già venuta a qualcuno. Può essere che sì, ma non credo.
Il mio Io che si ribella e per una notte scappa di casa. Il mondo visto da lontano e non è che sia poi tutto questo gran bel vedere. Però crea dipendenza.
Uno sfogo critico su certa critica radical chic appannaggio di certi critici radical chic, fatto da uno che un critico non è ma può sempre criticare. Siamo ancora in una democrazia, no?
Una lettera d'amore dalla parte del ragno. Con in testa un vecchio motivetto dei Cure, negli occhi il relativo video e tra le mani una sensazione appiccicosa che non si lava via, mai.
Una lettera al me stesso presente. Istruzioni per l'uso. Nel senso di istruzioni per usarmi a modo. Istruzioni per non farmi usare.
Una storia breve di plettri, ritagli di giornale e indie-rock. Per concludere di nuovo che l'ottimismo è un lusso che non ci possiamo permettere.
Una storia di calcio, ma solo marginalmente. Una storia di stanchezza, piuttosto. Di quando la distanza è troppa per colmarla di gioia e allora ti arrangi con quel che passa al convento.
Tutto comincia da qui. Perché proprio da qui? Perché questo momento semplicemente è. Come esattamente tutti i momenti, del resto. Così eccoci qua, incastonati nell'ambra di questo momento, dove non c'è nessun perché.