Una malattia grave

Una malattia grave

Un disagio che ho riscontrato tra le dita delle mie mani, che porta a degli inconvenienti a volte un po' imbarazzanti. Eppure pare sia un mal comune, non saprei dire quanto gaudio.

6 Gennaio 2007

E poi ci sarebbe da dire che Ammaniti. Che ora mi sa che corro il rischio di fargli anche troppa pubblicità, a questo Ammaniti. Il che è ridicolo, se uno ci pensa: proprio io che ancora non m'ha preso e non m'ha portato via, questo signore che invece di solito passa con la rete a strascico e ti prende e ti porta via.

Chissà dove, ti porta: bisognerebbe chiederglielo, a lui o a tutti quelli che ha preso.

Chissà dove, ti porta: bisognerebbe chiederglielo, a lui o a tutti quelli che ha preso.

Però mi veniva in mente una cosa. Che questo Ammaniti ce l'ho sempre tra i piedi, ultimamente, e allora prometto che dico solo un'altra cosa e poi non ne parlo più. Mi veniva in mente insomma, che io questo Ammaniti, prima di trovarmelo sempre tra i piedi in questi giorni dopo quella storia della Coop, non mi riusciva proprio di scriverlo come si scrive. Che a me, prima ritrovarmi qui a scriverlo venti volte in un post, mi veniva sempre da scrivere "Ammanniti, con due "n". Che secondo me è anche più carino, con due "n": dà l'idea di uno scrittore con le palle, mica come "Ammaniti", che c'ha una "n" sola e ti scivola via così, nel finale, sfuma.

Che io non lo so come fa a prenderti e a portarti via uno con una "n" sola, ma vabbè. Non mi vergogno, io, a dire che l'ho pure cercato su Google, Ammaniti, per essere sicuro, che non mi tornava proprio questa cosa qua. E sì: con una "n" sola. Bisogna farsene una ragione.

Che uno non ci crede si gli racconto quante volte, in quel post lì son tornato indietro a correggerlo: se uno lo prendi, lo guardi in faccia e gli dici il numero. Che ne so: duecento. Quello mica ci crede che te sei tornato indietro duecento volte, in quel post, per togliere le "n" in eccesso e scrivere Ammaniti come Dio comanda. E invece.

La diagnosi

Insomma, c'ho pensato e mi sa che c'ho una roba brutta. Non lo so mica come si dice, se c'è la parola giusta: quando si parla si dice "dislessico". Io boh. Io mi sa che son distastierico.

Che ci son delle parole che mi vien da scriverle in un altro modo. Che io lo so che c'è una convenzione che vanno dette così sennò non si capisce, ma son proprio le dita che mi fregano: capita che l'indice si distrae e allora il medio gli passa avanti, che si sa, che i medi non hanno tempo da perdere e sono un po' arroganti, come indica (parola a sua volta derivata dall'indice di cui sopra, tra l'altro) il noto gesto del dito alzato, che uno non lo specifica mai qual è, questo dito alzato, ma poi si sa tutti che è il medio. Che volgari come i medi, di dita ce ne son poche, e il dualismo tra indice e medio è di quelli storici e inconciliabili, come quelli più noti tra i Beatles e i Rolling Stones o tra il pandoro e il panettone: son cose che non puoi far finta di niente devi decidere per forza da che parte stare. Per dire, io sto dalla parte dei Beatles, del pandoro, e dell'indice. Anche se mi piacciono pure i Rolling Stones, mangio il pandoro (ma solo se ci son le gocce di cioccolata al posto dei canditi e dell'uvetta) e a volte il dito medio mi scappa anche a me.

E allora invece di scrivere "ciao" scrivi "caio", che è tutta un'altra cosa: il primo è un nome comune di saluto amichevole, il secondo invece è il nome proprio di quello che esce sempre con Tizio e Sempronio. Che coppia, quei tre!

Mal comune

Fatto sta che un po' mi sono preoccupato. Che non lo so mica se è grave, questa cosa qui.

Polly dice che no: che è normale (che io glieli sottopongo sempre questi miei problemi esistenziali, a Polly). Dice che va bene lo stesso, lei. Che siamo un po' tutti distastierici: che le cose alla fine le viviamo spesso come fossero errori di battitura solo per lasciarci lo spazio per poter dire poi, quando sbagliamo:

Eh, che vuoi che sia? Era un refuso!

Ecco. A me, questa frase qui che dice Polly. Questa frase che nella vita siamo un po' tutti distastierici. A me questa qui mi pare una frase estremamente filosofica. Di quelle che vanno scritte sui muri.

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