Il mondo ai tempi della boccia delle chewingum

Il mondo ai tempi della boccia delle chewingum

Biglie di vetro e gomme da masticare. Ricordi di quando io il mondo non lo conoscevo manco di striscio eppure già me lo stavano portando via da sotto il culo.

4 Gennaio 2007

Io l'ho capito presto, che il mondo me lo stavano portando via da sotto il culo. L'ho capito troppo presto, mi verrebbe da dire: l'ho capito che ancora praticamente non l'avevo capito, come girava il mondo, e già me lo stavano portando via da sotto il culo.

È successo in un momento ben preciso, che ho percepito distintamente quella sensazione lì. Non è stato come per la sparizione delle sagome dei camerieri fuori dai ristoranti, o la comparsa dei biscotti Togo al cioccolato, che son cose che son successe misteriosamente, quelle, che è risaputo che non sono avvenute in una data esatta. No. Quella storia lì che riguarda da vicino il mondo e il mio culo è successa in un momento preciso: c'avrò avuto nove, massimo dieci anni.

Più di dieci no, che dieci anni, sarà che si va in doppia cifra, non lo so, ma dieci anni sono un po' come una barriera, come uno spartiacque, come una soglia, che se ti succedono dopo, le cose, dopo dieci anni dico, non è che ti senti addosso quell'angoscia, quella che ti stanno portando via il mondo da sotto il culo ed è un po' troppo presto, per farsi portare via il mondo da sotto il culo: se ti succede dopo dieci anni, questa cosa che ti portano via il mondo da sotto il culo, ti vien quasi da dire: «Eh, che vuoi che sia, ormai son grande, sai quanto ne ho visto di mondo, fate pure.»

Uno strano aggeggio quadrupede

Insomma, c'avrò avuto nove, massimo dieci anni e c'era un giochino abbastanza famoso, a quei tempi, dalle mie parti. Era costituito da uno strano aggeggio quadrupede: poteva sembrare un flipper in miniatura, come forma, ma mica era, un flipper in miniatura, che le cose a volte sembrano, e invece. Al riguardo vi rimando al detto dei nostri avi: "l'apparenza inganna" — lì scolpito a ricordare che in generale, sì, meglio stare attenti.

Oltre — in quanto quadrupede — alle quattro zampe d'ordinanza, l'aggeggio in questione possiamo sommariamente descriverlo come costituito da due ulteriori blocchi: uno orizzontale e uno veriticale. In quello orizzontale era installato un piano basculante (che "basculante" a me, è un aggettivo che mi piace quasi quanto "carnascialsco") opportunamente protetto da un vetro e collegato a una piccola cloche esterna che ne regolava l'inclinazione. La parte verticale era invece in tutto e per tutto un contenitore, diviso in due scomparti: quello di sinistra più o meno (in genere più meno che più) pieno di palline di chewingum, ognuna di un colore diverso, quello di destra più o meno (in genere più più che meno) pieno di piccole, bellissime, stroboscopiche biglie di vetro.

Ora qui ci starebbe tutto un excursus sulla mitica boccia delle chewingum, a partire dalla sua entrata in scena, quando si presentava come unica cosa a colori in un mondo dove i telefilm erano ancora in bianco e nero, a oggi, in questo triste mondo post boccia delle chewingum, dove la troviamo giusto in qualche mercatino dell'antiquariato, che metterla in salotto fa molto vintage. Ma meglio di no, che non lo faccio questo excursus, che già non mi ricordo più dove volevo arrivare con il discorso da cui ero partito. E poi non son nemmeno sicuro di cosa significhi, excursus.

Comunque il concetto era semplice: te infilavi il tuo minuscolo patrimonio giornaliero di cento lire (cento lire sarebbero, pensiamoci, cinque centesimi, che oggi cinque centesimi, te li risputa fuori sdegnata anche la fontana di Trevi — altri tempi, proprio) poi ruotavi di mezzo giro un'apposita manovella e, quello che adesso chiameremmo "dispenser" (ieri si chiamava, come già suggerito poc'anzi, "boccia delle chewingum"), ti sputava fuori una pallina colorata da masticare: certo, dovevi essere già pronto a raccoglierla al volo con la mano leggermente a coppa fuori dalla fessura, sennò quella, la pallina dico, cadeva a terra ed era un attimo che il cane di Gastone se la mangiava.

Gastone quello del bar — che il suo cane io non lo so come ha fatto a campare quindici anni, che per un uomo sarebbero novantanove che chissà se è vera questa cosa che sarebbero novantanove ma dicono di sì — con tutta quella gomma in corpo.

Ma, una volta avuta questa accortezza, potevi iniziare a masticarla e, mentre le tue papille venivano inebriate da quel classico e ormai antico aroma di frutta sintetica, partire con il gioco vero e proprio: si trattava di concludere il giro completo della manovella e far cadere dall'altro lato del contenitore una biglia di vetro sul piano basculante, dove era disegnato un percorso contorto, pieno di buche e di insidie. Ecco: te, inclinandolo opportunamente, dovevi riuscire, evitando le buche e superando le insidie, a far cadere la biglia in una fessura precisa. Era un po' un metafora della vita, a voler ben vedere. A quel punto comunque avevi vinto: la biglia era tua (ammesso che, di nuovo, fossi pronto con la mano a coppa a non farla cadere a terra).

Che al cane di Gastone, delle biglie di vetro, gliene fregava niente, ma quelle, a differenza delle palline di chewingum, rimbalzavano che sembravano indiavolate e a rincorrerle era un dramma. Senza considerare, scaramanticamente, l'eventualità — peraltro abbastanza frequente — che finissero in un tombino, che a quel punto eran bestemmie, che le bestemmie, uno, son le prime cose che impara, e a dieci anni ti sei già fatto un bel database.

Principi di bassa finanza

L'obiettivo era la biglia, si capisce, ma a me mi sembra il caso di sottolineare l'importanza, sia tecnica che filosofica, della boccia delle chewingum: tecnicamente parlando, tenere le mandibole in movimento durante la partita aiutava tantissimo a trovare la giusta concentrazione, a livello concettuale, invece, la pallina di chewingum era una sicurezza. Era la cosa che ti convinceva a giocare, il germe che insinuava nella tua testa di novenne massimo decenne il subdolo concetto, un po' democristiano, che comunque vada sarà un successo, che nella peggiore delle ipotesi, quelle cento lire non sarebbero state del tutto buttate via: nella peggiore delle ipotesi, te la saresti sempre potuta cavare con una frase apparentemente innocua:

Ho comprato una gomma da masticare alla modica cifra di cento lire, e poi, tanto, la biglia che non ho vinto era acerba.

Che uno magari non se ne rende conto, di quanto può essere pericolosa, una frase del genere per lo sviluppo del pensiero critico di un bambino così come in quello di un cucciolo di volpe, ma questa è un'altra storia. Ve la racconta Esopo un'altra volta.

Sapere che c'erano le palline di chewingum era come fare un investimento a basso rischio, di quelli che il capitale non lo perdi di sicuro. Erano i BOT, per uno di dieci anni, quelle palline lì: roba che non rendono niente ma qualcosa rendono, e allora forse vale la pena di rischiare.

Che ora io lo confesso, e rimanga fra noi: io ne avrei fatto anche a meno di metter su tutta questa descrizione assurda per spiegare com'era fatto quel marchingegno delle biglie e delle chewingum, ma il problema è che il marchingegno suddetto, non c'ha mica un nome. O se ce l'ha io non l'ho mai saputo. Che si fa presto a dire, dicci come si chiama: che ne so, un flipper dici "flipper" e uno subito si immagina un flipper. Un calcìno dici "calcìno" e magari può anche succedere che arriva quello che, in un impeto di revisionismo fascista, vuole che lo chiami "calciobalilla", oppure quello che ti assicura che si chiama "calcetto", peraltro sbagliandosi clamorosamente perché il calcetto è un noto sport di squadra che assomiglia al calcio ma si gioca in cinque e che hanno inventato quelli che non riuscivano mai a essere in undici per giocare a calcio, ma insomma ci siamo capiti. Quell'aggeggio quadrupede lì invece, io non so proprio come chiamarlo, e allora m'è toccato di fare questa descrizione contorta che non si capisce nulla.

Una richiesta agghiacciante

Insomma, a farla breve (si fa per dire), io ero bravo, a nove massimo dieci anni, con quel giochino lì. Che in soffitta mi sa che c'ho ancora un paio di bottiglie di plastica da due litri piene di biglie colorate e meravigliosamente fantasmagoriche. Nel senso, non è che dovevi essere Einstein: bastava un po' di allenamento e la giusta passione, che per fare le cose bene, nella vita, soprattutto quella ci vuole, la passione. E io, a quei tempi, c'avevo la passione per quel giochino lì, con le zampe (quattro), le biglie, le chewingum e tutto il resto. Ecco, è qui che volevo arrivare. Finalmente, diranno i miei piccoli lettori sarcastici.

Io ero bravo, a quel giochino lì, che c'avevo un rapporto biglie/chewingum del 90% e spiccioli. E capitava che si formasse un piccolo gruppetto di bambini, a vedermi giocare, di quei gruppetti che fanno «ohhh», tutte le volte che vinci una biglia: quell'«ohhh» simile a quello del pubblico di Wimbledon quando la pallina passa vicino alla riga, non so se mi spiego (non quello di Povia, niente a che vedere, con quello). Capitava pure (e la prima volta capitò un giorno ben preciso: me la ricordo ancora, la mia faccia) che qualche bambino più piccolo mi chiedesse di vincergli una biglia. E dico "più piccolo" nel senso che quando c'hai ciquant'anni, uno di quaranta ti sembra quasi un coetaneo, ma quando ce ne hai nove: eh, come ti sembra piccino un bambino di otto anni quando te ce ne hai nove, non si spiega questa cosa qua. «La percezione della differenza d'età tende asintoticamente ad annullarsi con l'aumento dell'età stessa», cito a memoria la prima lezione del prof. Thorsen Kaashö, università di Helsinki, corso di racconti intorno al fuoco.

Capitava, insomma, che qualche bambino più piccolo mi chiedesse di vincergli una biglia. Che a pensarci bene è una richiesta agghiacciante: la perdita totale del gusto puro del giocare tradotta nella semplice ricerca dell'utile. Lui metteva i soldi, io giocavo e lui si prendeva la biglia: io contento perché giocavo, lui contento perché vinceva. Sembra un'ottima joint-venture, messa così, ma a pensarci bene: agghiacciante è, a pensarci bene. A volte, mi regalava pure la pallina di chewingum: e non perché avesse intuito quella storia delle mandibole e della concentrazione (capiva un cazzo, lui, di mandibole e concentrazione), piuttosto come una mancia, un incentivo a fare del mio meglio.

Ecco. Io lì, c'ho avuto la netta impressione che io (nove massimo dieci anni) e lui (sette massimo otto anni), eravamo già di due generazioni diverse. Non è stato bello.

Tanti piccoli Berlusconi

Era, nel nostro piccolo, un primo esempio di quello che sarebbe successo poi in Italia e altrove: che oggi ci son solo società di consulenza e la ricerca la fanno all'estero, un po' perché non ci sono soldi, un po' perché i pochi soldi che ci sono è meglio investirli in qualcosa di remunerativo a breve termine. Era come chiedere di copiare il compito in classe. Erano tanti piccoli Berlusconi.

Sì: io giocavo ed ero circondato da tanti piccoli Berlusconi (che ogni tanto facevano «ohhh», ma in realtà volevano dire: «È mio! Quanto costa questo coso? Lo compro!»).

Che ancora io non lo sapevo mica chi era Berlusconi. Mi interessavo di LEGO e cercavo di capire quale effetto dare al pallone per fregare Jacopo che stava in porta e fare gol senza spaccare il vetro di cucina alla signora Clotilde, al piano terra: la porta era un cancello di ferro, Jacopo era già alto un metro e quaranta, a quei tempi. Che se lo avessi saputo, che erano tutti tanti piccoli Berlusconi, magari gli aizzavo contro il cane di Gastone. Che io e il cane di Gastone s'è sempre avuto un bel rapporto. Lui, che gli piacevano le chewingum e schifava le biglie di vetro.

Piccolo mondo antico

Io mi sa che mi è venuta da pensare la prima volta quel giorno lì. Io mi sa che, la prima volta, mi è venuta da pensare allora, questa cosa che poi dopo mi è venuto da pensarla un sacco di altre volte. Che il mondo così come l'ho conosciuto è probabile che non esiste più. Che ce ne stanno mettendo uno nuovo. E poi lo so che sembran discorsi da vecchi, che ti vien da chiederti: quanto mondo avrai mai potuto conoscere in dieci anni? Niente.

Ma è proprio lì, il punto: ancora non lo conoscevo, il mondo, e già me lo stavano sfilando via da sotto il culo. Ed è proprio lì, il problema: che a quel mondo che nemmeno conoscevo, a modo mio mi c'ero già affezionato. E loro me lo portano via da sotto il culo.

Sì, devo averlo capito a quel punto lì. A nove, quasi dieci anni:

Fin da quando siam piccoli, il mondo è un posto che non ci si capisce una sega.

Note a margine
Come un botto di post dell'incarnazione originale di 2+2=5, questa storia in particolare prende spunto (per poi, ovviamente, divagare in maniera incosciente) da una canzone degli Offlaga Disco Pax. Si chiama Cinnamon e parla dei biscotti Togo al cioccolato, della sparizione delle sagome dei camerieri fuori dai ristoranti, di prove tecniche di trasmissione e di molto altro. È bellissima.
Piccoli dettagli al buio
Una malattia grave