Una storia di scarpe col tacco e improvvise, inspiegabili stravaganze mattutine. D'altra parte, il diavolo sta proprio lì, dicono.
2 Gennaio 2007
Ieri sera con Polly si son fatte le ore piccole, a guardarsi negli occhi. Che quando inizi a guardare negli occhi qualcuno poi la cosa si complica: quando inizi, a guardare negli occhi dico, è un attimo che ci finisci dentro, agli occhi. E il tempo passa che è un piacere. Io c'ho visto i treni e tutto il resto, negli occhi di Polly. Lei chissà, cosa c'ha visto: mica me l'ha detto, cosa c'ha visto.
Insomma s'è fatto tardi, con Polly, ieri sera. Che no: non te ne rendi conto, del tempo che passa, in quei momenti lì. E allora ho detto che sì, chiaro che poteva rimanere a dormire da me: «Ci mancherebbe», ho detto.
Poi stamani si è alzata presto, Polly. Che lei è fatta così: non è che ci può stare a lungo, in un posto che non sia una stazione con una linea gialla. E allora se ne va. Poi torna, ma la costante è che a un certo punto se ne va di nuovo. E così via.
Che ora mi viene quasi in mente che forse è per quello che dice sempre "va'", Polly: sarà mica che vuole inconsciamente ricordartelo, che lei a un certo punto se ne va? Mah, io dico che è meglio se non me le faccio, queste domande.
E allora anche stamani: si è alzata prima di me, che doveva andare via. Ha fatto piano piano, ma l'ho sentita lo stesso, che c'ho il sonno leggero, io, e da sotto le coperte l'ho guardata che si preparava.
L'ho guardata che si infilava le scarpe, a un certo punto. Che c'ha delle scarpe buffe, Polly: delle scarpe con il tacco non troppo alto e la gomma sotto, ma una gomma strana, che non si sente mica, il rumore classico dei tacchi, quando cammina. A me mi pare una cosa dolcissima, questa qua che non si sente il rumore dei tacchi anche se ci sono: perché, mi sembra così dolce, non lo so proprio, ma vabbè.
Insomma si infilava le scarpe, il che, a voler vedere la cosa dall'esterno, sarebbe un gesto banale, di quelli che si ripetono sempre uguali tutte le mattine: prima la sinistra, poi la destra. Io la conosco, Polly, e potete stare sicuri che è matematico: prima la sinistra, poi la destra, lei. Però.
Però io non lo so: sarà per via di quella storia che s'è passato tutto quel tempo a guardarsi negli occhi, chissà. Fatto sta che a me mi piace pensare che sia per quel motivo lì, che lei, stamani, ha deciso che non era una mattina come le altre. Io mi sa che è per quello, sì, che ha deciso di onorare fino in fondo la stravaganza di stanotte.
Prima la destra e poi la sinistra, stamani.
Nessuno lo saprà, deve aver pensato. Che alla fine è un piccolo gesto, un dettaglio che son sicuro non racconterebbe ad anima viva, convinta che annoierebbe immediatamente chiunque. Deve essere per quello che invece mi è rimasto così impresso in testa. Deve essere per quello che sono rimasto in silenzio, finché non ho sentito la porta chiudersi.
Deve essere per quello che ora, prima di uscire, le lascio un biglietto sul tavolo. Un biglietto di quelli con un sorriso sopra. Ci scrivo:
Lo so anche io sai, quanto è bello, ogni tanto, fare qualcosa, una piccola cosa, per il puro piacere di accontentare se stessi.