Giornalismo dilettante

Giornalismo dilettante

Le mie supposte incapacità giornalistiche in un'intervista immaginaria a Kurt Vonnegut: tante sigarette, altrettante domande, poche risposte, qualche alzata di spalle. Mentre così va la vita.

4 Gennaio 2008

Sarà che stava facendo i pacchetti degli ultimi regali con la carta de La Repubblica. Che Polly lei mica si mette a fare i pacchetti con la carta quella apposta, tutta colorata con i pupazzi di neve e le stelle comete e i nastri quelli tutti fantasmagorici, no: lei i regali li incarta dentro le pagine dei quotidiani, con lo spago quello da cucina, così la gente poi quando li scarta può togliersi la soddisfazione di strappare il sorriso dalla bocca di Berlusconi o accartocciare con gusto l'ultimo editoriale di Ferrara. Cose così, insomma.

Però dovresti vederli, caro utente natalizio, i pacchetti di Polly: fanno un gran bell'effetto, secondo me prima o poi qualcuno le ruba l'idea.

I cazzi miei

Insomma sarà per quello ma all'improvviso mi dice:

  • Secondo me, te saresti mica capace di fare il giornalista.

Dice che no, Polly, dice che io non sarei capace di fare il giornalista, perché non son mica buono a far domande io. Che io ogni volta che mi vien da fare una domanda poi penso subito, prima di farla, son mica cazzi miei. E allora non c'è speranza, dice Polly, che la prima regola per fare i giornalisti mai pensare "son mica cazzi miei" quando si fa una domanda, la prima regola. Le basi, proprio.

Sapere di non sapere

  • Vuol dire che mi toccherà di diventar famoso così poi le domande le fanno a me.

Ho controbattuto io, tanto per scherzare.

E lei no, di nuovo. «No», ha detto Polly, che io non son buono nemmeno a far le risposte, che ogni volta che mi viene in mente una serie di possibili risposte, la prima della lista (nel senso quella che mi pare più onesta) è sempre "non s2. E allora non c'è speranza, dice Polly, che uno famoso che gli fanno le domande, la prima regola è che non si può rispondere "non so", uno famoso.

Kurt Vonnegut

E allora ho pensato che c'ha ragione, Polly, che in questo mondo dove tutti la prima cosa che fanno è cronometrarti il tempo di latenza tra domanda e riposta io son proprio spacciato.

«Epperò!» le ho detto mentre con l'indice le tenevo fermo lo spago giusto sul naso di Kakà, così che lei potesse fare meglio il nodo. Epperò se, nonostante questa disgrazia che m'è toccata delle domande e delle riposte che non son buono né per le une né per le altre. Se nonostante questo finissi per sbaglio a fare il giornalista so già che come prima cosa intervisterei Kurt Vonnegut.

Che lo so che te ora, caro utente Lazzaro, lo so che te ora starai pensando ma come fai, intervistare Vonnegut, starai mica delirando, che Vonnegut è morto, impossibile intervistarlo. Eh.

Pensare questa maniera, te caro utente credulone, fai un errore di una gravità, di una superficialità, che, guarda, non ti puoi render conto, la gravità e la superficialità del tuo errore, guarda: pensare che Vonnegut sia morto, mi fai quasi sorridere, la tua ingenuità che vien fuori, caro utente funereo, pensare che Vonnegut sia morto.

Per dire, tipo Polly, l'unica cosa che ha detto è stato:

  • Eh, pagherei per vederti, te che intervisti Vonnegut.

Così ha detto Polly. Nessun riferimento a questa storia ridicola che era morto, lei.

Ognimodo, se per caso mi trovassi così all'improvviso a fare il giornalista, rintraccerei Vonnegut, e lo convincerei, farsi intervistare. Puoi giurarci, caro utente spergiuro, la prima cosa che gli chiederei, a Vonnegut:

  • Oh, Kurt.

Che lo chiamerei così, cercare di entrarci in confidenza.

  • Ma lo sai che credono tutti che tu sia morto? Come quell'altro Kurt, sì, quello biondo. Sarà mica il nome che poi tutti quelli che si chiaman Kurt poi il popolino finisce a pensare che son morti? Eh, lo so che sembra proprio incredibile, l'ingenuità della gente, ma si sa, la gente è bambina, la gente ci crede a tutto quello che le racconti alla gente, la gente si arrabbia per le ingiustizie, si commuove per il dolore, si illude, si innamora. Poi spegne la televisione e va a dormire contenta di quello che ha fatto: arrabbiarsi, commuoversi, illudersi, innamorarsi. Così si guadagna la pagnotta, la gente.

Direi sospirando sconsolato, traducendo in quel sospiro tutta la mia disillusione per le sorti del mondo.

E allora lui mi guarderebbe, non direbbe mica niente, che si vede l'argomento non gli interessa poi tanto.

Dopo, cercare di rompere il ghiaccio, come si dice, gli chiederei:

  • Oh, Kurt. Ma com'è che son tutti convinti che te scrivi libri di fantascienza, che a me invece mi sembran libri d'attualità?

Chiederei con quel tono un po' supponente e antipatico del giornalista che la sa lunga e soprattutto che solo lui la sa lunga.

E lui mi guarderebbe ancora, alzerebbe le spalle, che anche questo argomento non lo coinvolge più di tanto, guardar bene.

E mi sa che l'intervista andrebbe avanti così: io che gli faccio domande da giornalista consumato, lui che mi guarda, certe volte è come se sorridesse, ma parlare niente, non spiccicherebbe parola.

So it goes tattoo

Pall Mall blu

Solo, poi, alla fine, mi alzerei per andarmene, mica troppo soddisfatto di come è uscita fuori l'intervista. E lì Vonnegut mi fermerebbe, mi direbbe:

  • Vieni va', che una Pall Mall blu senza filtro te l'offro anche se sei un giornalista.

Porcaputtana allora a come sarebbe buona quella sigaretta lì. Fischia come me la gusterei la Pall Mall blu senza filtro che poi si sente il sapore del tabacco e ti rimangon tutti i pezzettini sulla lingua e allora ti vien da sputacchiarli fuori: la miglior sigaretta che mi potrebbe mai capitare di fumare, dire il vero.

E allora, fumare così di gusto, mi verrebbe da chiedergli ancor più così, come fosse una domanda senza filtro anche quella:

  • Oh Kurt, ma perché non mi hai risposto? Almeno una volta, mi potevi rispondere.

Mi verrebbe da chiedergli, che io lo so che non son buono a far le domande, lo dice anche Polly che non son buono, e in effetti ammetto che alla fine son mica cazzi miei, ci mancherebbe.

Gli direi, che ormai siam diventati amiconi, io e Vonnegut.

A quel punto

A quel punto poi lo so cosa succederebbe. Lui mi guarderebbe, farebbe una specie di sorriso sotto i baffi, e direbbe quello che direbbero gli abitanti del pianeta Tralfamadore, che son gente in gamba, giuro, anche solo vederli, caro utente fisionomista, lo diresti subito che son gente in gamba, gli abitanti del pianeta Tralfamadore. Son alti sessanta centimetri e hanno la forma di sturalavandini piantati a terra per la ventosa, gli abitanti di quel pianeta lì che te non ti riesce di dire il nome, caro utente balbuziente, ma non ti far ingannare dalle apparenze, che le apparenze ingannano e se apparentemente ti fai ingannare in questa maniera, caro utente apprendista, allora vuol proprio dire che non ti ho insegnato nulla.

«Così va la vita.» direbbe Kurt Vonnegut dietro quello specie di sorriso sotto i baffoni.

E io, al solito, rimarrei lì. Con la bocca aperta come gli occhi dello scemo del villaggio quando ti spiega che non sa nulla di nulla.

Ci vorrebbe un altro terrestre per spiegarglielo: i terrestri sono bravissimi a spiegare le cose, a dire i perché o i come.

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