Tempo di innamorarsi

Tempo di innamorarsi

Una domanda complicata: come si fa a capire che si è innamorati o che si è ancora innamorati? Una riposta semplice semplice che non ti aspetti. Tipo il rasoio di Occam, ma meno affilata.

13 Febbraio 2007

C'era Polly che stava uscendo, ieri. Era lì in camera che finiva di prepararsi: le scarpe quelle col tacco e la gomma sotto (il tacco che non fa rumore di tacchi, per via di quella gomma strana sotto, non so se mi spiego, che ne abbiam pure già parlato) e tutto il resto.

"Tutto il resto" sarebbe per esempio una gonna assurda di lana cotta nera, con un taglio strano, buffa anche quella: che io no lo so dove le trova tutte queste cose buffe da mettersi addosso, Polly.

Sguardi

Io, al solito, ero lì che la guardavo, che non lo so: io mi ci incanto sempre, a guardare Polly. A guardarla mentre fa le cose, dico, che c'ha un modo tutto suo, di farle, lei. Che mi pare che è un modo che a impararlo, poi ti vengon sempre bene, le cose, ma vabbè.

Ero lì che la guardavo, appoggiato allo stipite della porta, visto che «lo stipite della porta nasce proprio come riferimento per non perdere l'equilibrio quando oscilli in bilico tra due stanze», come scrive Monika Slågsvold, designer d'interni dell'IKEA. L'IKEA è un posto svedese dove regalano piccole matite di legno già appuntite.

Ero lì e non poteva certo sfuggirmi, lo sguardo a 360° che ha dato alla stanza, Polly, proprio subito dopo essersi aggiustata la camicia sulle spalle: ho proprio visto chiaramente (quasi frame by frame) il giro che hanno fatto i suoi occhi prima di fissarsi addosso a quella vecchia sveglia rumorosa sul comodino.

Il tempo che passa

È una sveglia a forma di treno, di quei treni a vapore che non ci sono più, che invece di suonare fa un fischio assordante, di quelli che non solo ti svegli, ma ti vien pure, come riflesso incondizionato, da preparare la valigia e precipitarti in cucina a cercare la macchinetta obliteratrice.

Una sveglia a forma di treno, giuro. Che si sa: uno usa i trucchi, le armi e le scenografie che possiede, per plasmarsi la vita addosso e provare a metterla sui binari che ha sempre sognato.

Per esempio, quella gonna assurda di lana cotta nera, io me lo ricordo: prima era ancora più assurda, che c'aveva pure su un fianco un fiore gigante tutto colorato, di lana cotta pure quello, che non si poteva guardare da quanto era pacchiano. Poi Polly l'ha scucito, quel fiore lì, e ora ha indosso una splendida assurda gonna di lana cotta nera un po' buffa, a dirla tutta. Che lei quando compra i vestiti è così: riesce ad immaginarseli come sarebbero se. E quindi non passa le giornate intere a cercare il capo giusto, quello che ha in testa: ne prende uno abbastanza simile e dice «Va' che tanto poi ci penso io». Poi arriva a casa e taglia un pezzo di qua, ne aggiunge un altro di là, cuce un orlo in basso o una piega in verticale e poi per forza che le vengono fuori quei vestiti rocamboleschi che è un piacere guardarla. È una tecnica di acquisto che bisogna esserci portati, non è che si improvvisa così su due piedi: io per esempio, l'unica cosa che son riuscito a fare è stato comprare una maglietta nera e scriverci sopra 2+2=5. Il che dimostra che c'ho ancora tanto da imparare.

Che poi uno mica ci riesce, con quella storia di prima della vita e dei binari, ma il solo provarci ne fa passare un po', di vita. E allora va bene così.

Una domanda

Ma dicevamo di Polly e del suo sguardo, che, dopo aver fatto il giro completo della stanza, si era posato sulla vecchia sveglia rumorosa, quella a forma di treno. Ma giusto un attimo eh, giusto il tempo di sospirare in suo onore, in onore della sveglia, dei treni e in generale del tempo che passa. Di quei sospiri sospetti però: che io Polly la conosco, e quando sospira in maniera così preventiva è perché sta per chiedermi qualcosa. E infatti.

  • Posso farti una domanda?

Che io giuro: ci fosse mai stata una volta che le ho risposto no, a Polly. Mai. Eppure lei continua a chiedermi, ogni volta, «Posso farti una domanda?». Che ci deve essere qualcosa che non le torna, in questa faccenda di chiedere le cose: che ne so, mi sa che pensa sia da maleducati, fare le domande. Che continua imperterrita a chiedere il permesso.

Un giorno dovrò farle notare che anche già «Posso farti una domanda?» è in sé una domanda, ma non vorrei che poi iniziasse a chiedermi se può chiedermi di chiedermi di farmi una domanda, che sarebbe una situazione di quelle imbarazzanti che non c'è verso di uscirne.

E allora io ho detto che sì, chiaro che può farmi una domanda. Che è molto meno probabile che io sappia la risposta, ma che lei sì: chiaro che può farmi una domanda.

E così.
Così mi son sentito chiedere, da Polly, come si fa, secondo me, a capire che si è innamorati, o — a seconda dei casi — che si è ancora innamorati. Che son cose che ti prendono un po' alla sprovvista, anche se sei appoggiato a quella piccola sicurezza che è lo stipite di una porta: questioni che ti cadono così tra capo e collo e tra gola e anima, che poi il tuo cervello va nel panico e partorisce risposte un po' incoscienti che non sa nemmeno lui di preciso cosa vogliono dire.

Una risposta

Che io infatti mi son messo anch'io a fissare un attimo la sveglia a forma di treno. Che si sarà capito ormai che — valga come consiglio — fissare una sveglia è il modo migliore per prendere tempo: come una specie di osmosi, insomma. E poi ho detto che mah, sì. Secondo me succede quando (o finché) non hai voglia di innamorarti. Nel senso che se non hai la minima voglia di innamorarti di qualcun'altro, allora è altamente probabile che tu sia già innamorato. Che tu lo sappia o no.

Che io poi, a essere sinceri, cosa vuol dire non lo so mica, questa cosa che mi è uscita dalla bocca lì sullo stipite. Fatto sta che Polly ha fatto un sorriso di quelli, di quei sorrisi giganti di Polly e ha detto, con gli occhi grandi e lucidi come sempre: «Va' che bella risposta!»

Si è innamorati sul serio quando non si ha più voglia di innamorarsi.

Va' che bella risposta. E poi è scappata via correndo.

Io l'ho seguita, che ormai, quando fa così, Polly, non perdo più nemmeno quell'attimo decisivo, quello che ha a che fare con il lusso di sorprendersi. E l'ho guardata dall'alto che scendeva la rampa delle scale a velocità folle, ridendo come una matta.

Poi ho scosso la testa da solo, cercando di fare la persona seria. Eppure, a dirla tutta, mi veniva da ridere anche a me.

Leggi anche
Tu chiamale, se vuoi, emoticons
San Valentino