Wim Wenders in provincia. Sogni annebbiati, potenziali angeli, ma soprattutto una piuma. La sottile differenza tra scappare e volare via.
21 Gennaio 2007
Stamani mi son svegliato con qualcosa che mi solleticava il naso. Lì per lì, nel mezzo dormiveglia, ho pensato che forse era il gatto. Poi, mentre diventavo via via più cosciente ho improvvisamente realizzato che in questa casa gatti non ce ne sono e allora ho aperto gli occhi: una piuma.
Una piuma bianca e morbida che se ne stava sul cuscino accanto al mio, sul quale ero finito nel sonno per un misto di inerzia ed abitudine.
E allora mi è tornata in mente quella cosa là, che ormai è tutto il giorno che ci penso. Mi è tornata in mente la prima volta che ho visto Polly, io.
C'era la stazione, c'era la linea gialla, c'era pure un treno, che era appena partito e disegnava la sera con poche luci sempre più lontane. Ecco, ora io non lo so: sarà che era già buio e che pioveva, sarà che non c'avevo le lenti, saranno state le piastrelle bagnate a specchio tutto intorno che sembrava ci fosse il mare a Praga.
Sarà, ma io quella sera c'avrei giurato che Polly c'aveva le ali. C'avrei messo la mano sul fuoco, che sulla schiena le spuntavano due ali di quelle vere. Un bel paio di ali bianche e morbide come la neve che ci si fa i pupazzi. Bianche e tese come le vele delle navi d'estate, nel porto di Arcangelo. Bianche e un po' tristi come le lacrime che versò un giorno il busto del compagno Lenin in piazza, a Cavriago, travolto da insolito disgusto, in un impeto di ribellione contro l'imbecillità umana.
C'era la stazione, c'era la linea gialla, c'era Polly così bella lì ferma con le sue ali. E c'ero io, poco lontano. Io. Io che continuavo a guardare.
Che poi son cose che non si possono dire in giro, che la gente ti prende per matto. Che a vederla ora Polly, se vai da uno e gli fai, guarda, quella c'ha le ali, lui si mette a ridere e chiama la neuro. Che quasi quasi mi ero convinto anch'io che fosse tutta una cosa che mi ero immaginato io nella mia testa, che mi capita nemmeno troppo raramente che io nella mia testa mi immagino le cose che poi non son mica successe sul serio.
E allora a metterci la mano sul fuoco, con le cose che c'è il rischio che te le sei immaginate dentro la tua testa, non vale la pena, che il fuoco brucia e allora meglio di no, la mano, dico. E invece.
E invece ora son qui, che lancio questa piuma in aria e la riprendo al volo: che anche questo vorrà pur dire qualcosa. Provate voi a lanciare una piuma e a riprenderla al volo, mica è semplice. Come per altro è ampiamente ribadito con tono colloquiale tra il serio e il faceto nel libro di testo di Teoria del Caos per le scuole medie Dibattito semiserio sulla traiettoria di una piuma nell'aria, dall'emblematico sottotitolo: Un casino della madonna, insomma.
E invece io tac: tutte le sante volte la riprendo al volo, che mi sembra di essere Tim Roth in Rosencrantz e Guildenstern sono morti quando tira la monetina e gli viene sempre testa. Per tutto il film. Testa.
Insomma ora son qui che lancio questa piuma in aria e la guardo oscillare e prendere per il culo la forza di gravità. Son qui e non mi riesce di smettere di pensare a tutte le volte che l'ha detto. A tutte le volte che l'ho sentita dirlo senza pensarci troppo. A tutte le volte che si scherzava, e io le dicevo, a Polly, con il sorriso sulle labbra: «Ma te scappi sempre, ci sarà la volta che ti fermi?», e lei seria, o meglio con la bocca seria, perché gli occhi, eh gli occhi le ridevano, che se non le ridessero più gli occhi non sarebbe più Polly. E lei seria ma con gli occhi che le ridevano, o sorridevano almeno:
A pensare. A tutte le volte che l'avevo capita senza volerci credere, la sottile ma decisiva differenza. Quella che uno capita che mica scappa sempre per non farsi prendere. Ma quando vola via, i casi indovinate quanti sono? Due.
O c'hai le ali anche te, e allora se ne può parlare.
Oppure finisci a naso all'insù a guardare le cose diventar puntini lontani, senza più faccia, senza più dimensione, senza più senso.