Io, me e Irene

Io, me e Irene

Il mare, un muretto e Irene. Rituali, abitudini e la donna della mia vita. Una storia sugli Etruschi, prevalentemente, ma non solo. Per scegliere da che parte stare.

4 Marzo 2007

C'era il mare. C'era il mare e quel pezzo di spiaggia. C'era il mare, un pezzo di spiaggia e quel muretto. Quel muretto che, così a vederlo da lontano, non si capiva bene cosa ci stesse a fare, quel muretto. Non si capiva bene cosa ci stesse a fare, chi ce l'avesse messo, e soprattutto perché.

Capitava spesso che mi fermassi a qualche metro, da quel muretto e dal mare, a chiedermelo, perché. Che eran tempi, quelli, che ancora mi chiedevo il perché delle cose. Ma niente: non aveva senso, quel muretto messo lì, sul bagnasciuga. Correva per più di un chilometro, leggermente arcuato per seguire la linea dell'insenatura, che non si capiva bene cosa ci stesse a fare, e chi ce l'avesse messo, ma sembrava fatto su misura.

  • "Correre" non è un termine idiota, per una cosa come un muro?

Fu la prima cosa che mi venne da chiedere a Irene quel giorno.

  • È un problema di prospettive, il tuo, confondi l'azione con l'agente, il protagonista con la scena.

Disse lei, senza guardarmi. Non mi guardava mai, Irene, quando parlava.

Un problema di prospettive l'azione con l'agente il protagonista con la scena. Passavo le giornate a ripetermi quelle parole sottovoce, senza pause in mezzo, e non capivo, io. Eppure eran tempi, quelli, che invece mi pareva di capirle così bene, le cose.

  • Si dice così perché ci puoi correre sopra, da quanto è lungo.

Messa in questi termini, in effetti, era più semplice, la questione. Così sospiravo per regalarmi un po' di fiato e appoggiavo i gomiti su quella pietra vecchia, il mento sulle mani e guardavo l'orizzonte a occhi chiusi.

Gli Etruschi

Era una specie di rituale, un modo stupido per selezionare i sensi e distinguere l'uno dall'altro i pezzi che mi scivolavano addosso: le dita di Irene che mi carezzavano i capelli, l'odore di sale, i piedi nudi sulla sabbia, da questa parte del muro, lo schiantarsi piano delle onde di là, meno di un metro oltre, dalla parte del mare.

  • L'hanno costruito gli Etruschi.

Parlava all'improvviso, dopo lunghe pause, come in risposta a quello che pensavo: sempre e rigorosamente negli intervalli che le suggeriva la risacca. Mai interrompere il mare, era la prima regola.

Gli Etruschi. C'era un po' fissata, Irene, con gli Etruschi: diceva che quello sì che erano un popolo serio, mica come i Greci e i Romani. Lo diceva così, senza addurre spiegazioni o motivazioni plausibili: semplicemente perché non riusciva a concepire che qualcuno potesse trovare i Romani o i Greci più simpatici degli Etruschi. Non era un'opinione, per lei: era un dato di fatto, granitico e inconfutabile come tutti i dati di fatto che si rispettino.

La donna della mia vita

E allora io pensavo che poteva essere la donna della mia vita, che eravamo fatti l'uno per l'altra, che non era facile trovare nello stesso posto due, entrambi così appassionati di comparse e di personaggi secondari, straordinariamente affascinati da tutti quei giocolieri della vita che alla fine fanno un inchino e tiran le somme sol sorriso sulle labbra, pur sapendo in anticipo che il risultato non sarà quello che si aspettano. Eravamo noi, lì a cercar di recuperare tutti quelli che la Storia aveva chiuso fuori e dimenticato alla porta. Come gli Etruschi, appunto.

Che a ripensarci oggi, eran considerazioni un po' affrettate, visto che io Irene nemmeno la conoscevo. Irene, per me, allora, non era propriamente una persona, e nemmeno un personaggio: Irene era un luogo. Irene era quel muretto, quel muretto sul bagnasciuga che non si capiva chi ce lo potesse aver messo se non gli Etruschi.

Non sapevo chi fosse, io, Irene: semplicemente la trovavo là tutte le mattine, seduta, con le gambe che dondolavano nel vuoto. Dalla parte del mare, s'intende. I piedi scalzi che sfioravano l'acqua, o ci sguazzavano dentro: dipendeva dal livello a cui si fermava la superficie. Ovvero dipendeva dalla marea. Che alla fine era una cosa che c'entrava la luna. E io a quei tempi, la luna. C'era niente, a quei tempi, che mi piacesse più della luna, a me. Esclusa Irene, ovviamente.

Lì la trovavo la mattina, e lì la lasciavo la sera, quando lei all'improvviso smetteva di dondolare le gambe, che l'acqua ormai le arrivava al ginocchio, e non c'era obiettivamente più niente da dondolare. Era quello il segnale.

Aprivo gli occhi, a verificare quanto l'orizzonte fosse diverso da come me l'ero immaginato per tutto il giorno e poi correvo via, con lei che sorrideva senza voltarsi. Sorrideva. Lo so che sorrideva. Dalla parte del mare, s'intende.

La trovavo lì, ogni mattina. Ogni mattina in un punto diverso del muro, sempre seduta, sempre a dondolare le gambe e piedi scalzi, fuori e dentro l'acqua. Ogni mattina in un punto diverso, che sembrava davvero che passasse la notte a correrci, su quel muretto, a correrci a perdifiato che poi non si ricordava dove si era fermata la sera prima. Così.

Non la conoscevo nemmeno io, Irene. Che il nome me lo aveva detto la signora grassa del chiosco vicino al parcheggio. Quella che tutte le mattine mi fermavo a prendere il gelato, prima di andare da Irene.

  • Si chiama Irene, e sta lì seduta.

Non aggiunse altro. Non poteva aggiungere altro. Non sapeva, altro.

Io credo che l'avrei presa e portata via, Irene, da quanto ero convinto di esserne innamorato. Se solo avessi avuto la forza di farla voltare, una volta. Una volta sola.

  • Guardami una volta, una volta sola e ti porto via.

Le dicevo ogni tanto. Che lo dicevo ridendo, ma ero serio come mai più lo sono stato in vita mia.

Ma non si porta via un muro che è lì dai tempi degli Etruschi, e questo l'ho capito in ritardo, come sempre. Al limite si demolisce, un muro come quello.

Quel giorno

Quel giorno c'era solo un gran casino: polvere e rumore, e la signora del chiosco sembrava ancora più grassa, e più vecchia, e a malapena si distingueva quello che borbottava.

  • L'hanno buttato giù, perché dava fastidio.

Io guardavo il mare, gli operai, le ruspe, e pensavo che una parola più meschina della parola "fastidio" non l'avevo mai sentita. Non mi veniva da piangere, perché eran tempi, quelli, che avevo deciso che si piange soltanto quando siamo da soli. Avevo solo una gran voglia di chiudere gli occhi e farmi fregare dall'impressione che qualcuno mi carezzasse i capelli.

  • E Irene?

Chiesi con quella voce di uno che le parole gli sono uscite ma ne avrebbe fatto anche a meno.

  • Irene? Irene è scesa.

Disse lei mentre contava gli spiccioli della cassa. Poi aggiunse, senza che io le avessi chiesto nulla:

Dalla parte del mare, s'intende.

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