Equilibrio precario

Equilibrio precario

La meravigliosa idea di un talento equilibrista naturale e di come prima lei e poi tutto il resto delle cose del mondo hanno contribuito a renderla irrealizzabile. Maledetta, sottile differenza tra teoria e pratica.

4 Settembre 2007

Dario me lo diceva sempre: «Fondamentalmente, la verità è che io non mi reggo in piedi.»

Che a sentirla buttata là così era una frase che non si capiva il senso. Roba che te l'avesse detta una vecchina di ottant'anni indicando traballante il bastone dicevi: «Ok, mi spiace signora, vuole che l'aiuti ad attraversare la strada?» Ma Dario queste cose me le diceva quando ce ne aveva venti, di anni. E va bene che così magro com'era in effetti poteva pure ricordartelo un palo di quelli piantati a terra alla meno peggio che avrebbero bisogno di un qualche supporto (che ne so, un filo ben teso, una gettata di cemento fresco o anche un semplice amore) per non venire giù alla prima folata di vento. Va bene. Però il fatto è che era un tipo in forma Dario, sportivo, uno che c'aveva un rapporto con l'equilibrio quasi stregonesco che nemmeno avesse venduto l'anima a un trapezista, uno che avresti giurato: tu non cadrai mai.

Poi capivi

Per dire. Dario era quello che sapeva camminare per tutto il muretto fuori dalla scuola sulle mani, quello che seguiva le lezioni completamente scomposto con sedia piegata all'indietro su due gambe invece che quattro senza oscillare nemmeno un po', quello che quando si faceva invasione allo stadio («per andare un attimo a parlare con l'arbitro», come amava ripetere), prima di buttarsi di sotto, rimaneva almeno venti secondi in piedi sul filo spinato (qualcosa come un fermo-immagine, per dirla con la poesia, però eran sempre momenti che se scivolavi ti infilzavi le palle e non se ne parlava più) girato verso la curva a salutare gli amici che preferivano rimanere di qua dalla recinzione («farsela sotto è un diritto», li giustificava senza rancore).

Se però ascoltavi con più attenzione, poi capivi:

  • Fondamentalmente, la verità è che io senza di lei non mi reggo in piedi.

Ecco.

  • Se si allontana all'improvviso, io cado.

Come l'eroina

Ci son persone che se fai l'errore di appoggiarti poi non riesci più a farne a meno.

  • Come l'eroina.

Diceva Maurino, il tossico storico della Curva Nord.

  • Sì, Mauro: come l'eroina.
  • Anche se l'eroina costa più delle donne.
  • Dipende, Mauro, dipende...
  • Però ti manda anche di più in trip.
  • Dipende, Mauro, dipende...
  • Bah, c'hai due spiccioli?
  • Guarda, Mauro, c'hanno dato un rigore contro!
  • Brutto figlio di...

Ci son persone che all'improvviso si allontanano.

  • Come gli spacciatori
  • Sì, Mauro: come gli spacciatori.
  • Anche se gli spacciatori son più furbi delle donne.
  • Dipende, Mauro, dipende...
  • Però ti vendon roba più buona.
  • Dipende, Mauro, dipende...
  • Bah, c'hai due spiccioli?
  • Mauro, pronto? Un-due-tre...
  • Po-poroppòppopporo!

La cosa tragica è quando i due fenomeni si verificano contemporaneamente: lei.

Un attimo prima

Dario era uno che quando stava per cadere se ne accorgeva un attimo prima.

Alla fine era tutto lì il trucco, nessuna stregoneria: solo il saper trasformare un'imminente figura di merda in un'uscita di scena apparentemente prevista dall'esercizio. Una giravolta, due capriole e tutta quella modestia in faccia per ricevere gli applausi.

Deve essere per questo che quando lei se ne è andata non è rimasto in piedi: per non cadere.

Come nei film

Già, quel giorno non è successo come nei film, in cui un personaggio dice una frase ad effetto, poi si volta senza aspettare una qualunque risposta ed esce dalla stanza per sempre, mentre l'altro se ne rimane lì impalato con la testa piena di domande e gli occhi increduli di perché.

No. Dario quando ha intuito quello che stava per succedere si è sdraiato per terra («ogni oggetto tende al suo minimo di energia potenziale», eran parole della Palmira, la bidella del liceo, per spiegarti perché invece di farsi le scale per andare a buttare i sacchi con l'immondizia lei li gettava direttamente dal quarto piano senza preoccuparsi troppo della questione se questi centrassero o meno il cassonetto o qualcun altro), ha poggiato l'orecchio al pavimento, ha ascoltato quegli ultimi tre passi e la porta che si chiudeva. Poi si è raggomitolato a palla sulle piastrelle. E a quel punto ha pensato:

Adesso rimango qui, così, fermo finché lei non torna e mi srotola.

In teoria

E lo avrebbe fatto, di questo son sicuro, che Dario io lo conosco da una vita, ovvero da quella volta che al campino lo vidi che camminava sulla traversa della porta e già allora il problema che mi posi non era tanto come facesse a starci quanto come avesse fatto a salirci, visto che c'avrà avuto tre anni ed era alto un settantacinque centimetri poco più.

Lo avrebbe fatto, eccome se lo avrebbe fatto. Perché non c'è niente di più romantico che farsi srotolare, sentire che qualcuno ti fa girare un po' sul pavimento (come le trottole, o i gatti con i gomitoli) per trovare il punto giusto da dove cominciare e poi inizia delicatamente a forzare, liberandoti le dita intrecciate attorno alle gambe, staccandoti le ginocchia dal petto e subito dopo allungandoti, sentirsi una mano sul mento che tenta di raddrizzarti il collo piegato in avanti e poi che ti mette in piedi e alla fine una voce che ti dice: «Su, apri gli occhi e appoggiati.»

Lo avrebbe fatto perché teoricamente era un'idea geniale, perfetta, bellissima. Teoricamente.

«In teoria, teoria e pratica sono la stessa cosa: in pratica, no.» diceva sempre il nostro professore di applicazioni pratiche di teorie durante la lezione settimanale di trova le differenze, agitando per aria quel fantastico libro di testo per le scuole medie superiori che è La Settimana Enigmistica.

  • Teoricamente.

Mi disse infatti poi Dario, quando provò a spiegarmi che i perché della sua rinuncia non bisognava cercarli nella difficoltà della realizzazione:

  • Non sarà certo più complicato di quella volta che mi incatenai alla bandierina del calcio d'angolo perché volevo che facessero subito una visita oculistica al guardalinee anche se era domenica e tutti gli ottici erano chiusi.

Suggerì così per fare un paragone che rendesse l'idea.

  • Il problema era che anche fosse tornata, secondo te avrebbe capito?

Mi chiese subito dopo.

Quanto ci avrebbe messo a rendersi conto che non si era mosso per tutta quell'eternità, che niente si era mosso per tutta quell'eternità? L'avrebbe capito che il tempo si era fermato mentre lei era via? Che lui l'aveva fermato per lei? Che quell'assenza di facce corpi profumi e gesti era riuscito a farla diventare anche un'assenza di istanti e che quindi bastava ricominciare da dove si era rimasti e tutto sarebbe stato come prima?

In pratica

No, non l'avrebbe capito. Non l'avrebbe capito perché nella vita ci son sempre un sacco di particolari che ti mettono i bastoni tra le ruote (come diceva sempre da piccolo il nostro amico Giovanni ogni volta che si rialzava dall'ennesima caduta con la bicicletta, lui che non ha ancora imparato a pedalare senza le ruotine ausiliarie, lui che invece l'equilibrio era una parola che non gli riusciva nemmeno di trovarla sul vocabolario).

Non l'avrebbe capito perché ci sarebbe stata la frutta marcita sul tavolo, uno strato alto così di polvere dappertutto, una montagna di bollette da pagare sotto la porta, lui avrebbe avuto la barba lunga e il capitano della squadra del cuore (il cui poster campeggiava sopra il divano) probabilmente sarebbe stato tesserato in un'altra società e vestito con un'altra maglia (che si sa: «Non ci son più le bandiere!» come imprecò Citto Consonni, detto Tempesta, ormai da anni sbandieratore ufficiale del Leocorno, quando, il giorno prima del palio, aprì il magazzino del rione e si accorse che la notte precedente quei ragazzacci della Tartuca gli avevan rubato tutto).

C'era niente da fare, nella vita. Che le cose del mondo (nella fattispecie la frutta, la polvere, le bollette, la barba e i capitani delle squadre di calcio):

Le cose del mondo, quando c'è da imbastire un'impresa così straordinaria e impossibile che ti vengon le lacrime agli occhi solo a pensarci per quanto è bella, non collaborano mai.

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