Una breve storia dal sapore carveriano. La verità amara nel cinismo travestito da saggezza di un tassita di notte: come un film dei Monthy Python, senza però le battute che fanno ridere. Nonsense e grottesco sgomento.
28 Agosto 2007
Nero tutto intorno, a parte un lampione vecchio come il selvaggio West che dà segni di un principio di epilessia tremolando luce zoppa nella notte. Asfalto rovinato dall'umido e dalle intemperie. Puzza di piscio portata dal vento. Un coyote ulula chissà dove. C'è un deserto, da qualche parte, ma non si vede.
Chiede Geoff, smarrito in tutto quel buio, vuoto a perdita d'occhio.
Risponde il tassista, esasperato quanto lui. Geoff si allenta il nodo della cravatta, appoggia una mano indecisa sullo sportello e bluffa:
Il tassista appoggia la testa sullo schienale, sfinito. Poi sospira:
Geoff balbetta:
Il tassista scoppia a ridere:
Geoff prova a nascondere le sue gambe, che stanno iniziando a tremare, coprendole con il giornale, quindi apre bocca solo perché è il momento della sua battuta:
Il tassista si accende l'ultima sigaretta, getta il pacchetto vuoto dal finestrino e, senza dire niente, indica qualcosa che sta sopra il bauletto davanti al sedile di destra. Geoff segue la punta del dito con lo sguardo e vede — là dove in genere si trovano i santini con l'effige di Padre Pio, della Madonna o di chi per loro — una targa un po' ammaccata con su scritto:
Il tempo è un fraintendimento a cui l'uomo è incline.
Il tassista apre la chiusura centralizzata, fa un gesto con la mano e sussurra un «prego» gentilissimo. Poi accende l'autoradio e si mette comodo. Geoff si asciuga la fronte con il fazzoletto che aveva nel taschino: non riesce a riconoscere quella canzone.
In quel momento, per lui, sono solo le note intonate di un impotente (s)concerto. Il suo.