Turista per casa

Turista per casa

Un elogio scanzonato della violazione di domicilio ben prima del boom di Airbnb: istruzioni dettagliate, scritte con affetto e fondamentalmente per il suo bene, dedicate al quel turista che per caso capiterà a casa mia.

4 Maggio 2008

Metti che il turista capita a casa mia. Che ne so. Può succedere, non son mica robe così, campate in aria, che mi son tolto dalla testa un giorno che mi annoiavo.

D'altronde ci son dei misteri come la vocazione che non si capiscono. Ma ci son delle vocazioni che son peggio dei misteri e allora non ci son cristi.

Tipo se uno a un certo punto della sua vita medesima gli prende la vocazione di fare il pane farà il fornaio, non ci son cristi. Se uno all'improvviso nella medesima vita sua gli prende la vocazione di scrivere farà lo scrittore, o il giornalista o magari solo lo stenografo, ma non ci son cristi comunque. Se uno a un certo punto gli prende la vocazione di dire la messa farà il prete, e quello è l'unico caso in cui un paio di cristi ci sono, ma non divaghiamo, che si parlava di turisti.

Tipo uno che a un certo punto dentro la sua vita personale intima gli prende la vocazione di fare il turista farà il turista. Non ci son cristi. E uno che c'ha la vocazione di fare il turista mica si fa tanti scrupoli: turisteggia un un po' dove capita.

A casa mia

E allora metti che il turista capita a casa mia. Che sembrava un incipit senza senso e invece come si vede poi con la maieutica ci siamo arrivati in maniera assai convincente. Che io c'ho la vocazione di spiegare le cose per filo e per segno, e non ci son cristi, giuro.

Se il turista capita a casa mia, io ci volevo dire, al turista, come prima cosa di non far caso alla confusione che c'è, che quella è una cosa che a quanto pare va detta sempre, indipendentemente dal grado di disordine in cui versa l'ambiente. Per dire, c'era un tipo, un certo Barsottini di Lugano, che viveva sotto vuoto in una stanza quadrata completamente priva di oggetti, giusto quattro pareti in croce, eppure lo diceva lo stesso, alla gente che entrava: «Guarda, non far caso alla polvere.»

Poi ci volevo dire, al turista, di suonare il campanello, prima di entrare. Che innanzitutto la buona creanza. Lo faccio sempre anche io, quando torno a casa: vivo da solo, ma non si sa mai. Metti è entrato un ladro, non vorrei spaventarlo, piombando dentro così senza avvertire. Ecco sì, ci volevo dire al turista, che se c'è il ladro, lo faccia uscire prima: che casa mia è così piccola che in due non ci starebbero.

L'interruttore è subito sulla sinistra. No, non quello sul muro: quello è il salvavita Beghelli. Ce l'ho messo per precauzione, nel caso diventassi vecchio e rimbambito all'improvviso e avessi bisogno di chiamare aiuto: l'ho collegato col numero di telefono del pakistano della via accanto, visto che — dopo attenta analisi — è risultato essere l'unico servizio veramente attivo 24 ore su 24, altro che la centrale di polizia!

I giochi di luce

Dicevo. L'interruttore è sulla sinistra, ma non sul muro, bensì quella cordicella che scende dal soffitto, come nelle vecchie abat jour anni Venti. Che poi avrei dovuto dire il primo interruttore. Visto che sparsi per la casa ce ne sono altri trentaquattro. Servon per fare i giochi di luce.

Ci volevo dire infatti al turista, di non crederci a quello che gli dicono nelle scuole del cinema sui giochi di luce: i giochi di luce vuol dire avere due stanze e trentacinque interruttori. Così puoi divertirti con le varie combinazioni. Altrimenti dove starebbe il gioco, scusa?

Di stare attento, ci volevo dire però al turista. Che ce ne sono sette che in realtà non funzionano: son falsi interruttori, di quelli che li premi e non succede niente. Così, per destabilizzare un po' il sistema e rendere il tutto più intrigante quando meno te lo aspetti.

I libri e i dischi

I libri son tutti in fila sulle mensole. Più in alto quelli già letti, più in basso quelli ancora da leggere, così il turista (metti si è dimenticato) non si sbaglia.

I dischi invece. I dischi son sparsi un po' dappertutto, in rigoroso ordine di acquisto. Buona fortuna, ci volevo dire al turista, tutti quei dischi, se ne vuole cercare uno in particolare.

La chitarra

Se il turista invece preferisce la musica fai da te la chitarra è sul letto, sdraiata sul lato di destra, quello della finestra: che quello di sinstra, dalla parte dell'armadio, sarebbe il lato mio, quando capita, e quindi dovrebbe essere vuoto. Dovrebbe.

Può suonarla, il turista, se vuole: fa un po' la ritrosa sulle prime note, ma dopo un paio di accordi si scioglie. Consiglio un MI minore per entrare in confidenza.

L'unica gentilezza che ci volevo chiedere, al turista chitarrista, era di rimboccarle le coperte quando la rimette a posto. Che il legno si sa: se prende freddo o umido, si imbarca. E una chitarra imbarcata tende ad assomigliare ad un'arpa, con tutte le crisi di identità e le complicanze del caso.

Quel cassetto

Il secondo cassetto del comodino invece, il turista è meglio se non lo apre. A meno che non sia afflitto da sfiancanti problemi sentimentali. In quel caso magari, può trovarci qualcosa di interessante.

Son dei blocchetti di lettere prestampate, dieci per ogni confezione: lettere d'amore impersonali. Neutre, ma adattabili a un preciso ricordo. Pericolose in effetti, soprattutto nel caso che il turista in questione sia uno di quei turisti illusi che turisteggiano per dimenticare.

Comunque, se dovessero servire ci dicevo al turista che può prenderne una a sua scelta: i contenuti abbracciano tutte le categorie e le terminologie amorose, con l'accuratezza però di rimanere sul vago, così da facilitare l'individuazione del proprio caso e intorno a quello far ruotare, con poche, opportune modifiche, le rimanenti nove lettere.

Le ho scritte quando avevo ancora tempo da perdere. Ho perso tutto il tempo che avevo a scriverle. Non so se funzionano: non mi era rimasto più tempo per provare. Mi faccia sapere, il turista, eventualmente.

Il mare

Comunque ci volevo dire, al turista, che se pensa sia necessario può aprire un po' le serrande, per far entrare qualche raggio di luce. Poca, però. Che la stanza non è abituata e poi le fanno male gli occhi.

Comunque ci volevo dire, al turista, che se pensa sia necessario può aprire un po' le serrande, per far entrare qualche raggio di luce. Poca, però. Che la stanza non è abituata e poi le fanno male gli occhi.

E soprattutto di fare attenzione a non creare correnti d'aria, se apre le finestre, il turista. Che altrimenti poi la sabbia va in giro per tutta la casa. La sabbia, sì. Quella che ho steso davanti al divano, per affondarci i piedi quando scendo. Che il turista se è un turista informato sicuramente sa che «Dai divani si scende, perché sui divani si sale, quasi mai ci si siede, sui divani. Se trovate uno che sta sul divano tutto composto abbiate pietà di lui: o è paralizzato, o crede di essere a un colloquio di lavoro.» come ci spiegava con la consueta arguzia il vecchio Corbezzi, l'altro giorno al bar, lui che di mestiere ha fatto il disoccupato per trent'anni — poi è andato in pensione con il minimo sindacale — e di divani se ne intende.

L'ho riportata — la sabbia, dico — tutta dentro millemila boccettine di vetro, da Praga, un posto (lo dico per gli altri utenti casa e chiesa, che il turista, lui che viaggia, queste cose le sa) che ancora non c'è il mare, ma si stanno attrezzando.

Un bigliettino

Insomma. Il turista, metti capita a casa mia, faccia un po' come fosse a casa sua.

L'unica cosa, ci volevo chiedere un favore, al turista: se prima di andarsene mi lascia un bigliettino, così per salutare.

Che me, se il turista metti capita, non mi trova sicuro: che io ormai, a casa mia son due anni che ci torno se va bene un paio d'ore la settimana, giusto il tempo che mi basta per dormire.

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