Dimmi come mai

Dimmi come mai

Gli 883 e la nuova compilation Con Due Deca: ovvero l'arte di sedersi lungo il fiume e saper aspettare che passi il proprio successo quasi postumo, in Paese dove, prima o poi, si rivaluta tutto.

16 Aprile 2012

Ecco. Io ora dovevo fare una premessa. Perché poi non volevo che uno passava di qua e diceva ma guarda questo che se la tira, che fa l'indie-chic, che non apprezza lo sforzo, l'idea geniale e assolutamente in controtrendenza trendy, che non capisce quell'ironia (un'ironia che si prende però assolutamente sul serio, ci mancherebbe) che sta dietro a un progetto del genere, guarda questo che rimane ancorato ai suoi rancori giovanili e che non è capace di dare a dei protagonisti del cantautorato nazionalpopolare del nostro Novecento quel che è di Cesare (Cremonini), anche a svariati anni di distanza, potrebbe pensare quello che passa di qua, senza una doverosa premessa.

E allora sì, la premessa sarebbe che è un'ottima compilation, davvero. Ci son tanti bei pezzi, tre o quattro reinterpretazioni da applausi, un paio geniali, almeno una semplicemente perfetta. Non sto qui a fare i nomi perché non è di questo che volevo parlare, era solo una premessa, mica una recensione. Che io, far le recensioni, non son capace. Far le recensioni, devi conoscer tutta la musica del passato, per metter su paragoni e confronti, tutta quella del presente, per stilar classifiche e crear dualismi, e anche tutta quella del futuro, per dirci come, irrimediabilmente, andrà a finire: una roba complicatissima, far le recensioni. Far le recensioni, devi avere quella presunzione modesta che ti permette di sapere cosa piacerà e cosa non piacerà a quello che legge, cosa deve piacere e cosa non deve piacere a quello che legge, cosa dovrà ascoltare e cosa non dovrà ascoltare nei prossimi giorni: non ci son santi, quello che dici te che fai le recensioni, dovrà ascoltare, quello che legge, se non vuol passar da stupido. Far le recensioni, soprattutto, ci vuole quel talento un po' cattivo che ti permette di stroncarle, le cose: i musicisti, i dischi, le scelte, le cose in generale. Ecco, io non son buono a stroncar le cose: me mi par sempre un peccato, stroncar le cose che alla fine, parer mio, ci si trovava quasi sempre un motivo che valeva la pena averle fatte, quelle cose lì. Se escludiamo i Baustelle, s'intende.

Con Due Deca
rockit.it

E quindi no, niente nomi, niente recensioni. Però davvero, giuro che ci son dei pezzi fantastici, in questa compilation, il che dimostra innanzitutto che tra i gruppi indie italiani, soprattutto tra quelli più sconosciuti, c'è del buono. Se non vogliamo chiamarlo talento (ma io lo chiamerei pure talento, in alcuni casi), è pur sempre del buono, parecchio buono, che me, mi pareva mica poco. E poi, in secondo luogo, dimostra che i gruppi indie italiani, anche quelli più sconosciuti, forse non avevan mica bisogno di partecipare a una compilation di cover degli 883 per farsi conoscere in giro, o per dimostrare quanto valgono.

Ma vabbè. Confesso che non lo volevo dir questo, e se l'ho detto l'ho fatto solo per dire che non volevo dirlo. Speravo che ero perdonato. O comunque, perdonabile.

Sorvoliamo

E niente. È un'ottima compilation, sul serio, piacevole da ascoltare, varia e quasi mai banale: la premessa finiva qui.

E per favore sorvoliamo sul dato che a conti fatti la premessa risulterà più lunga di quello che avevo effettivamente da dire: è un vizio che mi porto avanti da quando ero piccolo, da quella volta che per confessare a mia nonna che lo sapevo, io, che Babbo Natale non esisteva, la presi larga e cominciai dall'analizzare il monopolio della Coca-Cola nell'immaginario collettivo di fine millennio, per finire con tutto un discorso sullo sfruttamento delle renne in Lapponia. Era l'81, brutti momenti: mia nonna si addormentò sul divano e Babbo Natale scese incazzato nero dal camino con una bottiglietta di Pepsi in mano, sacramentando che lui si era sinceramente fracassato i maroni di questa storia che tutti dicevano che non esisteva, che era un'invenzione della pubblicità, che era solo un'idea figlia del marketing inventato dalla rivoluzione borghese finlandese del diciottesimo secolo, mentre invece Gesù Bambino, tutto piccolo e infreddolito nella capanna di legno dentro la mangiatoia in mezzo alla striscia di Gaza col fieno le bombe e tutto il resto che non si è mai ben capito come avrebbe fatto a portar i regali alla gente, lui lo davan tutti per scontato. «E poi le renne, le renne», disse quella sera lì Babbo Natale: «E il bue e l'asinello allora, vogliam parlarne?» Un pippone che non vi dico.

Questioni personali

Ma fine della premessa, dicevamo. Premessa che mi ero sentito comunque in dovere di fare perché poi non è che volevo passare per quello che uno dice ma sentilo, questo qua, che si mette a pontificare sull'opportunità o meno, da parte del panorama indie italiano — soprattutto quella parte di panorama indie che non si fila proprio nessuno — di tributare il giusto onore a dei cantori disimpegnati che narravano con lucida amarezza e quella sottile vena di ironia che non guasta mai i disagi del paninaro in declino all'inizio degli anni '90 come gli 883.

Io ora non lo so come farò a giustificare di fronte allo sguardo severo dei miei genitori il fatto di aver scritto una roba dove c'è dentro così tante volte la parola "indie", e un paio di volte pure la parola (o il numero, che dir si voglia) "883". Ci devo pensar bene, cosa inventare per scusarmi di una roba del genere con chi ha speso anni e soldi per la mia educazione: si accettano suggerimenti. Io forse, è meglio se non torno più a casa, dopo una roba del genere. Ma lasciam perdere le questioni personali.

San Tommaso

Insomma, finita la premessa il concetto è poca cosa.

E sarebbe che me, questo fatto che è uscita da poco una fantastica compilation dove svariati gruppi indie italiani — soprattutto quelli che uno dice questi li conoscon giusto quelli che san fare le recensioni — si cimentano (nella maggior parte dei casi assolutamente con successo, tra l'altro) nella gratificante impresa di metter su una cover di un pezzo degli 883, mi ha fatto venire in mente una roba.

Ottima compilation, ci tenevo a ribadirlo, esperimento interessante e quasi del tutto ben riuscito: e soprattutto gratis, si scarica qui, per chi vuole verificare di persona. Che io alla fine pensavo che c'era sicuro qualche San Tommaso che voleva toccar con mano, constatar con i suoi orecchi, giudicar da solo. E in fin dei conti io lo capivo pure, quel San Tommaso lì, che mica c'è da fidarsi, di uno che non sa fare le recensioni.

Viva l'Italia

Comunque. Me, questa collezione inaspettata di piccole perle indie tricolori che riportano in auge un duo di artisti che — mea culpa — non ho mai saputo apprezzare quanto avrebbero dovuto, mi ha fatto pensare mica alla scena musicale indiependente, mica ai tristi anni delle medie, mica al Fifty, mica ai bomber.

No. Me, mi ha fatto pensare all'Italia. A questo stivale rovesciato. A questa penisola democristiana che ormai è ridotta a una contraddizione simile al rugby: un posto dove l'unico modo per provare ad andare avanti è buttare la palla indietro. Mi ha fatto pensare che:

L'Italia è un posto dove, prima o poi, si rivaluta tutto.

Un posto dove, che tu sia un genio incompreso o un cazzaro totale, prima o poi viene quel giorno in cui qualcuno si rende improvvisamente conto di quanto eri genio, o di quanto eri incompreso, o di quanto eri cazzaro, ma comunque splendida espressione dei tuoi tempi andati e quindi anche te alla fine, a modo tuo, genio, maledettamente incompreso.

E allora lunga vita al revival all'italiana, con le compilation, i cofanetti e i monumenti ipotetici alla memoria di quel coccodrillo che piangeva lacrime sul latte versato da chi le cose le capisce sempre dopo, troppo dopo. Che messa così, fin qui, sarebbe anche una cosa bella: ammettere i propri errori, crescere, cambiare opinione, capire quanto è sopravvalutata la coerenza e tutte quelle robe lì che fa molto persona matura e incoerente tirar in ballo anche a sproposito. È una cosa che funziona, un modo graziosamente paraculo di pararsi il culo, un investimento sicuro a rendimento quasi certo nel breve e medio termine. Come i Bot, ma meno tassato.

Il problema è che l'Italia è un posto dove alle poche cose che funzionano, che rendono, che parano il culo ci si attacca come sanguisughe, e si pompano e si estremizzano e si spremono e si consumano fino a quando non funzionan più, finché non rendon più nulla, fino al giorno in cui ci lasciano invece per terra col culo ignudo e pure un po' livido. Ma non perché si siano esaurite: semplicemente perché han perso di credibilità. Un po' la storia di Pierino e il lupo, per i più nostalgici, ma meno folk.

E allora è così che si finisce per ottenere l'effetto opposto: che va bene rivalutare, va bene ammetter gli errori, va bene crescere. Ma crescere non sempre vuol dire cambiare opinione, e anche rivalutare a caso, rivalutare tutto, me non mi pareva una grande idea.

Insomma alla fine, me, vedere tutta questa indiependenza da Nord Sud Ovest Est, mi è venuto da pensare che a volte forse, soprattutto qua in Italia, invece che rivalutare bisognerebbe valutare e basta, o almeno valutare anche la possibilità che la prima impressione poteva anche esser quella giusta, che magari quello era davvero un cazzaro, e che se quel genio era così incompreso forse un motivo c'era.

Ogni riferimento a persone realmente esistenti è ovviamente puramente casuale. 883 in primis. Escludendo i Baustelle, s'intende.

E invece no. Qua pare che ogni tot bisogna mettersi intorno a un tavolo e decidere cosa rivalutare: la teoria copernicana, la repubblica di Salò, i Village People o i leggins di Samantha Fox. E dopotutto, pensarci bene, non c'è mica da biasimarlo completamente, un atteggiamento del genere: che l'Italia è un posto dove guardare a domani mette veramente male, un posto dove l'unica forma di difesa pare prender tempo e aspettare, sperare che le cose cambino da sole. E quale modo migliore, per prender tempo, che mettersi a rivalutare?

Ora, dirla tutta, io ce ne avrei in mente un paio, di modi migliori per prender tempo. Ma non vorrei diventar volgare proprio qui sul finire, proprio ora che ero riuscito a mantenere un tono equilibrato e accomodante con tutti (esclusi i Baustelle, s'intende) che nemmeno io so spiegarmi come.

E allora viva l'Italia, quel posto dove, prima o poi, si rivaluta tutto. Quel posto dove il meccanismo è semplice, lineare e rassicurante: che tu tiri fuori l'idea rivoluzionaria o la puttanata del secolo, sappi che non verrai capito. Ma non è un problema. Tanto qui siamo in quel posto dove, prima o poi, si rivaluta tutto. Basta aver pazienza e sperare di non morir prima.

Per dire: Alvaro Vitali ed Edwige Fenech ce l'han fatta. Galileo e Giordano Bruno no.

Ma questi son dettagli.

Un bel numero
La mezza stagione