Sessanta playlist, una al mese, andate perse nell'etere come lacrime nella fibra ottica, direbbe il poeta cyberpunk. Mixtape virtuali di quei bei i tempi in cui internet uccideva il copyright.
14 Aprile 2012
In quel posto su Splinder dove tutto è nato, ci s'aveva una tradizione. Era una roba un po' carbonara, un po' provocatoria, che andava a sfidare il sistema confidando che il sistema, alla fine della fiera, mica avesse tutto questo gran tempo da perdere a perseguire degli innocui scappati di casa (si fa per dire, visto che raramente abbandonavamo la nostra scrivania) come noi. Ma tant'è: noi ci si sentiva comunque dei Robin Hood dell'internet che rubavano le canzonette alle ricche multinazionali per darle ai poveri nerd della blogosfera.
Insomma in quel posto là c'era un appuntamento fisso — una volta al mese, a fine mese di solito — quando si preparava una playlist di mp3 che raggruppava le ultime uscite, ma proprio con la copertina preparata ad hoc e tutto il file zip da scaricare illegalmente. Una roba estremamente artigianale, nel suo essere completamente digitale. Come ai tempi delle cassette, ma senza cassette. Non so se ci siamo spiegati.
È andata avanti per un bel po', tipo svariati anni almeno, precisi come un orologio svizzero (ammesso che sia vera questa cosa che gli orologi svizzeri son precisi come un orolgio svizzero). Poi, quando siamo stati sfrattati, obbligati a traslocare perché chiudevan tutto e ogni roba è adata a scatafascio, abbiamo smesso. Di passarci le playlist sottobanco su Splinder, dico. Maledetta finanza, maledetta polizia, maledetto progresso tecnologico che i blog son diventati obsoleti in men che non si dica.
Ecco, a quel punto, anche solo per esigenze di statistica di bassa lega, mi son messo a fare un po' di conti, caro utente ingegnere, e ho realizzato che di playlist da scaricare contro il sistema ne avevamo buttate su un bel po'. Un certo numero. Un bel numero, mi verrebbe da dire.
Sessanta playlist, una al mese, precisa come il mutuo da pagare, ma gratis. Sessanta playlist, una al mese, fan cinque anni di playlist, che sarebbero quasi duemila giorni.
Sessanta playlist, una al mese, quindici tracce per playlist, quindici come gli apostoli (se contiamo anche quei tre che seguivan le vicende di Nostro Signore Gesù Cristo — pace all'anima sua — su Twitter). Sessanta playlist, una al mese, quindici tracce per playlist, quindici come gli apostoli (se contiamo anche quei tre che seguivan le vicende di Nostro Signore Gesù Cristo — pace all'anima sua — su Twitter). Sessanta playlist, una al mese, quindici tracce per playlist, fan novecento canzoni. Sessanta playlist, una al mese, quindici tracce per playlist, fan quasi mille canzoni, se mi permettete quest'approssimazione cialtrona e volgare, come tutte le approssimazioni del resto, specie quelle per eccesso.
Mille canzoni per duemila giorni, una canzone ogni due giorni, o quasi: me, mi pareva quasi commovente, questa cosa qua di mille canzoni in duemila giorni, una canzone un giorno sì e uno no, se eravate stati parsimoniosi.
E allora facciam una media, così, approssimata, cialtrona e volgare anche questa: facciam che la media era quattro minuti a canzone. Sessanta playlist, una al mese, 15 tracce per playlist, quattro minuti a canzone fan tremilaseicento minuti, che son sessanta ore ore di musica ininterrotta. Non so se ci siamo spiegati: vuol dire che te, utente che non c'hai un cazzo da fare, se prendi tutte le playlist una dietro l'altra, puoi stare ad ascoltare musica per più di due giorni di fila. Senza dormire però, sennò non vale. Me, mi pareva commovente anche questa cosa qua che te stavi ad ascoltare più di due giorni di fila di playlist, ma lasicam perdere, che io son uno che si commuove facilmente.
E niente. Questo per dire che sessanta playlist son tanto tempo. E che sessanta playlist son un gran bel modo di perderlo, quel tempo lì, parer mio.
Dopotutto, me sessanta mi pareva un gran bel numero.
Sessanta come i secondi in un minuto. Sessanta come i minuti in un'ora. Sessanta come le ore in un giorno, il giorno che vorrei. Sessanta come i giorni in due mesi, giorno più, giorno meno, ricordandoci sempre quella storia che tanto va la gatta al lardo e tutti gli altri ne han trentuno. Sessanta come i mesi in cinque anni, lustro si chiama (cinque anni, dico), così tanto per fare un po' sfoggio (cialtrone e volgare) di cultura spiccia. Visto che si parlava di tempo, no?
E allora, visto che siamo qui a dar sfoggio e che sessanta mia pareva un numero ricorrente nelle ultime righe, introduciamo qui anche una parola difficile come "sessagesimale". Lo sapevate che i primi a organizzare il tempo così come lo conosciamo oggi sono stati i Babilonesi? Son stati loro, quei beduini accampati là tra il Tigri e l'Eufrate a decidere di dividere le ore in sessanta minuti e i minuti in sessanta secondi. E sapete perché? Perché sessanta era il numero più grande a cui avevano dato un nome. Grazie al cazzo, mi verrebbe da dire, cari Babilonesi.
Fatto sta che ormai ci siam così abituati che anche se qualcuno c'ha provato a introdurre l'ora decimale (prima il Consiglio della Repubblica francesce a fine Settecento — che i francesi son gente che potendo farebbero tutto di testa loro, figuriamoci ai tempi della rivoluzione — poi la Swatch nel 1998 — che anche gli svizzeri te li raccomando: facile esser precisi se le regole le fai te!) ma con zero successo.
Comunque continuiamo, che con questa storia degli svizzeri francesi che volevano boicottare l'ora sessagesimale come la conosciamo noi ci siamo fatti trascinare vagamente fuori tema.
E allora anche sessanta come gli anni di Cristo, se non ci fosse stato quel misunderstanding con Giuda su chi pagava l'ultima cena.
Sessanta come i trentini che volevano entrare in Trento, che poi è appurato che ce la fecero solo in trentatrè: gli altri rimasero fuori, poveretti. Che si sa: Trento è piccola come città e bisogna far i turni per entrare. Trotterellando, s'intende.
Sessanta come la paura, che dopo quella volta che ha preso la multa sulla statale perché faceva novanta, da allora fa sessanta, la paura: l'ha imparata, la lezione.
Sessanta le gambe delle donne. Sì, le donne di Gambresyous, quel posto là, dietro la semisfera di Orione a due passi nel vuoto dalla nebulosa di Prijk, dove le donne c'han sessanta gambe, giuro. E i mariti son disperati per quanto spendono di scarpe.
Che poi chissà perché proprio sessanta. Una coincidenza strana che non me la spiego. E allora facciamo che ero uno che sapeva contare solo fino a sessanta, come i Babilonesi. E dopo il sessanta io non sapevo più che numero c'era. E così ora di quelle sessanta playlist non c'è più traccia. Chi le ha scaricate e non le ha buttate le tenga come un tesoro: ormai con considerate playlist d'epoca, roba vintage che i collezionisti pagherebbero a peso d'oro e sul dark web si narra valgano millemila soldi l'una.
Tutti gli altri, via quei bronci dal viso! Di buona musica ce n'è un sacco in giro per l'internet. Per dire, qua ne trovate in abbondanza.