Trasferirsi a Milano senza troppa convinzione: un dialogo (nemmeno troppo) immaginario con la propria vita nel momento in cui, come si dice, devi inziare sul serio a farci i conti.
12 Settembre 2008
Sentirsi come il pallino rosso in mezzo a una cartina sconfinata: quello che dice «Tu sei qui». Appoggiato al guard-rail, ai bordi della Tangenziale Est, con i piedi ben piantati su una corsia d'emergenza che le emergenze quelle vere non le ha mai sapute risolvere, a fumare una sigaretta e a fare i conti con una vita che non ha mai imparato. A far di conto, dico. Sentirla iniziare ad affrontare l'argomento un po' titubante:
L'universo, come è già stato notato in altre sedi, è un posto maledettamente grande, cosa che, per amore di un'esistenza quieta, la maggior parte della gente finge di non sapere.
Scuote la testa, rassegnata, la vita. Per tutti coloro che non hanno mai visto la loro vita, o una vita qualsiasi, scuotere la testa: non è un bello spettacolo. Ma io non mi faccio impressionare, e incalzo:
In un angolo del braccio orientale della galassia si trova il grande pianeta Oglaroon, un posto dove ci son solo alberi — il che dimostra inconfutabilmente, tra l'altro, che gli esseri umani non vi hanno mai messo piede — e la cui popolazione intelligente vive tutta quanta su un unico noce abbastanza piccolo e affollato. Là sopra gli Oglarooniani nascono, crescono, fanno l'amore, scrivono intagliando la corteccia articoli filosofici riguardanti il significato della vita, l'inutilità della morte e l'importanza del controllo delle nascite, combattono alcune guerre di minima entità per non disimparare a odiarsi un po' e infine muoiono appesi alla parte di sotto dei rami più esterni e inaccessibili.
Gli unici Onglarooniani che lasciano il loro albero son quelli che vengono sbattuti fuori per aver commesso il crimine nefando di chiedersi se qualche altro albero potesse ospitare la vita o se gli altri alberi, soprattutto quelli più grandi, fossero qualcosa di diverso da semplici allucinazioni prodotte dall'aver mangiato troppe noci.
Le noci onglarooniane hanno, come tutte le cose, dei pro e dei contro: il contro è che sono l'unica cosa commestibile su Onglaroon, il pro è che sono buonissime — hanno la buccia di pandispagna e l'interno riempito di sciroppo di vodka alla pesca.
La vita non afferra la morale della cosa:
La vita tace, per un attimo, lasciandomi il tempo di affondare il colpo:
Finisco la sigaretta e stringo con le dita il filtro fin quando non è caduto tutto il poco tabacco rimasto, con un gesto ormai collaudato, descritto minuziosamente nel rarissimo manuale Mille modi (si fa per dire, in realtà son poco più di cinquanta) per non bruciarsi le mani, pubblicazione illecita di Gilberto Miccia, famoso piromane calabrese che aveva paura del fuoco.
La vita, forse associando la storia degli Onglarooniani con la dipendenza da nicotina, mi indica con un cenno della testa e un sorrisetto malizioso il cartellone pubblicitario ai bordi della carreggiata: una prostituta che tocca schifata un cervello di dimensioni cubitali. Il claim è di quelli che ti verrebbe da prendere il copywriter responsabile del tutto e seppellirlo a mezzanotte in una tomba senza nome: «Se ti droghi ti va a puttane».
Il cervello.
Guardo la colonna di macchine inchiodata all'asfalto, le facce scavate dalla fretta di non arrivare chissà dove: donne e uomini con la bava alla bocca, nei loro flussi migratori frustrati dal troppo ritardo nell'invenzione del teletrasporto, che urlano, suonano, bestemmiano, si truccano, telefonano o addirittura si telefonano tra loro per ingannare il tempo come se lui fosse un tipo facile a ingannarsi.
Il tempo.
Dico a voce alta.
Lei sbotta (la vita è volgare, per natura):
Io taccio, lei prosegue:
L'Enciclopedia Tascabile Garzanti, volgarmente detta "Garzantina" — il secondo libro più letto nella galassia dopo la guida sopracitata — spiega esaurientemente che riguardo all'orizzonte, ci son parecchie teorie discordanti. Per esempio, il prof. Raphael Zarniwoop di Alpha Centauri dice che l'orizzonte è un posto che più ti avvicini più lui si allontana, un po' come la storia di Achille e della tartaruga: «un presa per il culo, insomma», conclude nell'ultimo capitolo dalla sua opera più nota Qua una volta era tutto mare. Max Dapleen invece, il cabarettista principe del Club Daedalus su Jaglan Beta — ricorderete tutti il suo numero più eclatante, quando riuscì a ricreare le condizioni del Big Bang facendo scontrare dentro un cappello a cilindro due conigli accelerati alla velocità della luce — sostiene che ci sono in giro almeno tracentoundici orizzonti diversi che si scambiano di posto per farci gli scherzi: li ha inventati il suo collega Bart Slartee di Traal, una volta, per un contest a Colorado Cafè Live, poi ne ha perso il controllo, dice.
Infine c'è un tipo dell'Isola d'Elba che dice che lui all'orizzonte c'è stato, un giorno: c'era il cielo limpido, una brezza leggera e tutto il resto, eppure non è niente di speciale, giura.