C'era una volta un post

C'era una volta un post

Dalla rubrica misteri sull'internet. Ovvero di quella volta che mi rapirono un post e me restituirono senza commenti. Quella volta che la blogsfera si commosse sul serio.

3 Febbraio 2007

Co, c'era una volta un re, diranno i miei piccoli lettori. Così però allora mi fate perdere subito la pazienza, brutti nanerottoli imberbi e straordinariamente bassi: non è serata, giuro che non è serata da far i pignoli. Se dico che c'era una volta un post vuol dire che questa volta il re non c'era. Non so se mi sono spiegato.

E va bene, c'era una volta un re, ma poi s'è fatto il referendum e ora c'è la repubblica fondata sul lavoro, ok? Sì, d'accordo, a voler guardare bene il re c'è ancora, ma si limita ad andare a troie e a sparare ai giovanotti tedeschi dalla propria barca. Cristo.

Ricominciamo

Insomma, c'era una volta un post e il prossimo che apre bocca lo soffoco col cuscino.

C'era una volta un post che per la precisione era questo qui, che poi sarebbe il post immediatamente precedente a quello che state leggendo e quindi, in termini strettamente tecnici, non c'era nemmeno tutto questo bisogno di linkarlo: solo che lui, il post dico, mi ha supplicato dicendo «Linkami, linkami, ti prego linkami che ti ammiro tantissimo» e allora, anche tenendo conto di quello che è successo — che son cose che un post lo segnano per tutta la vita — ho preferito non farlo rimanere male. Senza considerare che poi linkarsi da soli ti lascia intorno quell'alone di autoreferenzialità estremamente glamour, quella sensazione di autoerotismo di classe che è per quello che io lo faccio così spesso, di autolinkarmi: e dopo mi stimo tantissimo. Anche se ci vedo sempre meno.

C'era quel post lì che si diceva. Quel post che un momento fa c'era e dopo non c'era più. E allora io cerca cerca questo post, ma niente. Finché è ricomparso, il post. Ma senza nemmeno un commento. Che sembrava uno che lo avevano rapito di quei rapimenti lampo che poi dopo cinque minuti ti scaraventano fuori dalla macchina in corsa in mutande e con un occhio nero che ti hanno rubato il portafogli e tutti i vestiti.

Una cosa, questa, che io son basito. Che c'ho ancora la bocca aperta come l'Uomo Tigre (cfr. il manuale per utenti esperti Come installare un filtro antiparticolato su una maschera di carnevale, in cui si illustra in maniera esauriente il nuovo brevetto del signor Miramoto Isozuki, che fin da piccolo — si legge nelle sue memorie — non si spiegava come il celebre lottatore di wrestling potesse scorrazzare sulla spider cabrio con quelle fauci spalancate senza che i moscerini gli intasassero la trachea).

E allora magari lo chiedo a te, caro utente nerd: tu come la vedi? Che io son laureato in ingegneria informatica e dunque in queste cose di computer non ci capisco nulla.

Sì, perché alla fine, per uno che ha un blog, perdere un post è come per una mamma perdere un figlio. E poi, sempre per quello che ha un blog, ritrovarlo, parlo del post, senza nemmeno la miseria di un commento è un po' come per una mamma ritrovare il figliol prodigo in un fosso tutto bagnato in fin di vita senza un rene che gli son pure cascate le braccia.

Ecco sì. Deve essere per quello. Che io quella volta della catena, non è che ho seguito proprio alla regola le istruzioni e ho fatto un po' lo splendido, lo ammetto.

E allora il fato cinico e baro se l'è presa con il mio post. Che gli son cascati i commenti e poi è morto.

Note a margine
Questa confessione a cuore aperto è tratta da una storia vera. Agli albori dell'internet, soprattutto su quella collezione di cose da non fare in termini di programmazione web che era Splinder, succedeva spesso. Sparivano le cose che pubblicavi. Spesso erano perse per sempre, altre volte, come in questo caso, tornavano menomate — ma te continuavi a volergli bene come fossero ancora normali.
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