L'Uomo Tigre

L'Uomo Tigre

A Carnevale ogni scherzo vale, ma anche no. Discussioni etico filosofiche su una delle feste più sopravvalutate con un tizio molto più basso di me, ma vestito molto meglio.

24 Febbraio 2007

Stamani sono sceso giù in strada senza troppe pretese se non quella di prendere una boccata d'aria e non restituirla al legittimo proprietario. Mai avrei pensato di incontrare una tigre.

Giuro, ho aperto il portone e lì davanti a me c'era una tigre. Che mi son detto: la prossima volta forse è meglio se non ti sniffi l'etere per colazione.

Insomma c'era una tigre. O meglio, un cucciolo di tigre. O meglio, un cucciolo di uomo travestito da tigre.

Sì, a farla breve, c'era questo bimbetto di cinque forse sei anni con indosso un costume (e qui mai parola fu più azzeccata) carnascialesco: una specie di salopette a pelo corto, tutta maculata e corredata di un buon metro di coda fluttuante nel vuoto. E poi un passamontagna dello stesso materiale improponibile, con le orecchie, i baffi e tutto il resto. Una tigre vestita di tutto punto. Una tigre bipede che mi guarda con aria di sfida e mi punta contro una di quelle bombolette che fanno la schiuma e contemporaneamente il buco nell'ozono.

Ecco. Io, molto politically correct, devo avergli detto (parola più, parola meno):

  • Non lo fare o ti ammazzo.

Lui, un po' deluso:

  • Ma dai! È Carnevale.

Io, calmissimo come Gary Oldman in Leon dopo che si è fatto di acidi:

  • Se lo fai ti ammazzo lo stesso.

Lui, con la facci di quello che si chiede ma questo scherza o dice sul serio:

  • Dai, lo vedi? È Carnevale e son qua tutto solo.

In effetti la strada è vuota: siamo soltanto io e lui, che sembra un duello di Mezzogiorno di Fuoco.

Io allora mi improvviso dieto-teologo:

  • Senti, io in queste cose non c'ho mai capito nulla e il Carnevale è una festa che non riconosco, una ricorrenza che se guardo nei giorni che mi sono avanzati non mi riesce proprio di ritrovarla. Però mi pare di aver sentito dire che tutta questa storia di maschere stelle filanti coriandoli a natale e scambi di persona finiva un paio di giorni fa, che insomma ora si entra in un periodo di magra dove non si può mangiare non si può bere ci si deve frustare tutte le sere e guai a chi ride, che è finita la pacchia insomma. O sbaglio?

Che io in effetti non lo perché poi finisco sempre — con i bambini di cinque anni quasi sei — a invischiarmi in queste conversazioni surreali in cui ci parlo come se avessero l'età di mio nonno, ai bambini di cinque quasi sei anni. Però succede sempre, questa cosa qua. Lui comunque non fa un piega e conferma:

  • Sì, lo so. Quaresima, si chiama.

Ecco, quaresima. Che il nome proprio non mi veniva. Quindi rigiro il coltello nella piaga:

  • Appunto. Mi sa che è per quello che non c'è nessuno che gioca ai giochi di Carnevale con te: è finito il Carnevale. Più. Puff, sparito. Ti torna il ragionamento?

Non gli torna, il ragionamento. Anzi, mi guarda come se gli avessi messo davanti la domanda più stupida che potessi fargli:

  • Ma scusa… mia mamma questo costume l'ha pagato un sacco di soldi. Che senso ha se posso metterlo solo due giorni all'anno?

Un pesce lesso

È a quel punto che son rimasto senza parole. Che sembrava che anche io mi fossi vestito per Carnevale: da pesce lesso però. E mi è tornato in mente che quel discorso, proprio quello, l'avevo fatto anche io un giorno. Che fu il motivo, quello, perché non me lo son mica comprato io il vestito buono per la mattina della laurea. Tanto sapevo che non me lo sarei mai più messo. E allora tanto valeva prendersi un costume da tigre con la coda i baffi e le orecchie d'ordinanza, invece che la giacca la cravatta e tutte quelle cose incoscienti lì.

Allora mi sono avvicinato e gli ho stretto la mano, come si fa tra uomini: qua la zampa, amico. E poi ce ne siamo andati senza dirci niente altro: io in una direzione, giocherellando con l'accendino a sprecare gli ultimi residui di gas infiammabile, lui nell'altra, scodinzolando mestamente a sparare spruzzi di schiuma qua e là, a vuoto, nell'aria.

C'ho pensato per tutto il resto della giornata. Pensavo che un po' mi ero pentito. Che potevo almeno offrirgli una sigaretta.

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