Una lettera al me stesso presente. Istruzioni per l'uso. Nel senso di istruzioni per usarmi a modo. Istruzioni per non farmi usare.
7 Novembre 2006
Caro me, nel diciottesimo secolo la Bastiglia era una famigerata prigione francese, questo dovresti saperlo, anche se forse ti è sfuggita la parte dove si spiegava che dovrebbe fregartene qualcosa. Ecco, son qui per rimediare.
Quello che forse non sai, infatti, è che si dice fosse era meno squallida e opprimente di altre, anche solo per il fatto che ogni recluso riceveva tre bottiglie di vino al giorno: essendo sempre ubriachi, erano in pochi a tentare la fuga.
Se non si fosse capito, sto richiamando la tua attenzione su questo, nella vana speranza che ti serva da avvertimento: a mio parere (ma sai quanto conta il mio parere in questi casi) saresti dovuto evadere già da tempo dalla tua prigione personale. Ma è improbabile che tu riesca a farlo se continuerai a essere ubriaco o comunque annebbiato da qualcosa che ti mantiene confuso, distratto e soprattutto artificialmente soddisfatto. Dove temo il problema stia nel non trascurabile "artificialmente", e solo in un secondo momento — forse — nel classico "soddisfatto".
Io direi che se vuoi davvero trovare una qualche via d'uscita al perfetto incrocio tra un Carnevale e un funerale che è questo tuo preciso momento storico, devi cercare di mantenere svegli i tuoi sensi e la tua coscienza e soprattutto vedi un po' se ritrovi quelle due briciole di dignità che avevi nascosto qualche mese fa: dovrebbero essere in fondo all'armadio, dietro quel mucchietto di bugie sintetiche, proprio sotto la vecchia, sdrucita, maglietta dei Pearl Jam. Sì, quella che non metti più.
Ci dovrebbe essere scritto sopra, se non sbaglio, I'm still alive.
Caro me, io a volte (in realtà spesso, in realtà ora) mi chiedo cosa mai stiamo aspettando.
E non rispondermi:
Che sia troppo tardi, madame.
Poi, sinceramente, fai un po' come cazzo ti pare.