Zoom in, zoom out

Zoom in, zoom out

Il mio Io che si ribella e per una notte scappa di casa. Il mondo visto da lontano e non è che sia poi tutto questo gran bel vedere. Però crea dipendenza.

7 Dicembre 2006

Stanotte il mio Io è uscito dal mio corpo. Che io — nel senso proprio io (non il mio Io) — un po' lo capisco, il mio Io: che ogni tanto c'ha voglia di farsi un giro fuori. Che star tutto il giorno qua dentro — nonostante il mondo surreale, carnascialesco e involontariamente pirotecnico che ogni secondo si monta e si smonta nella mia testa — uno (nel caso particolare lui, il mio Io) alla lunga si stanca.

L'Io ribelle

E allora stanotte è uscito, senza chiedere il permesso. Ammetto che questo mi ha un po' irritato, ma ho fatto finta di niente: che anche lui (il mio Io) è in quella brutta fase adolescenziale in cui si sfida sfrontatamente l'autorità per affermare il proprio Io (il suo Io, a voler essere precisi, che, per la proprietà transitiva dei pronomi, casualmente coincide con il mio, di Io, cioè lui). Chiaro, no?

Se può consolare, lo dice anche il mio psicanalista (che, per inciso, è lo stesso di Woody Allen) che è del tutto normale identificarsi con il proprio Io: «Altrimenti, che Io sarebbe?», questa è la frase disarmante e poco clinica con cui tenta di convincermi all'inizio di ogni seduta.

La psicoanalisi è un mito tenuto in vita dall'industria dei divani.

Woody Allen

Fatto sta che è uscito e mi ha visto lì. Gobbo come un Leopardi d'annata piegato su un PC: gli ho fatto pena, e un po' di tenerezza, ha confessato. Me le ha raccontate dopo, tutte queste cose, quando è tornato, che io gli avevo intimato, al mio Io, di rientrare prima di mezzanotte, e invece lui è arrivato a casa alle sei di mattina ubriaco fradicio e senza un rene, che aveva pure perso le chiavi.

Sì, perché alla fine è andata che si è fatto prendere la mano. D'altronde: «Al tuo Io, dagli un dito e si prenderà tutto il braccio», come ebbe a sentenziare il prof. Mondrian Kilroy nel suo saggio Strategie di contenimento per Io ribelli, dall'emblematico sottotitolo "Io, qui, è plurale", abilmente corretto rispetto a quello presente nella prima edizione: "Io, qui, sono plurale".

Insomma ha deciso che sarebbe uscito anche dalla stanza a vedere questo palazzo così nuovo che sembra finto, e soprattutto vuoto: che la signora di sopra secondo me non esiste, ma è solo una lavatrice che ogni martedì alle dieci di sera le scappa una centrifuga.

E via così, ad ogni soffio più gonfio di superbia e di elio, il mio Io se ne saliva sempre più su, collezionando screenshot di questa città talmente bella che quando la gente la vede le bruciano gli occhi, di questo paese così intimamente spento che non si sa più dove l'abbia messa, la voglia di incazzarsi, di questo pianeta che doveva essere perfettamente sferico è invece è venuto fuori un po' schiacciato ai poli, che qualcosa vorrà pur dire, anche quella storia lì.

Dice il mio Io che ci ha visti da lassù, tutti persi e rinchiusi nei nostri io come dentro stupide scatolette di latta:

Acciughe, mi siete sembrati.

Proprio così, ha detto: acciughe. Dice gli abbiamo fatto venire una tristezza, ma una tristezza, che ha giurato che per un po' non esce più.

Plot twist

Poi stamani, quando mi sono alzato, lui dormiva ancora, che ieri sera aveva fatto le ore piccole. E allora non me la sono sentita di svegliarlo per raccontargli che non era vero niente.

Che semplicemente sono stato in piedi fino alle sei, attaccato a Google Earth, con l'occhio trasognato di un bambino, a guardare questo mondo storto che c'è toccato in sorte di viverci dentro dal satellite.

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