La storia di me e Bartolozzi, del bar di Cosimo e di tutte le cartoline che sbirciavamo scassinando la cassetta della posta. I ricordi degli altri come terapia rispettosamente invasiva.
2 Giugno 2008
Cara te, colleziono cartoline. Banale, dirai. Banale. Solo che io mica colleziono le cartoline che mi mandano, o quelle che non ho mai avuto il coraggio di mandare. No.
Di' a mamma che sono a casa domenica per pranzo e impara a romperti il piede nella stagione giusta. Baci baci baci. Neve neve neve.
Era un vizio che con Bartolozzi si aveva fin da piccoli: andare a scassinare la cassetta della posta, quella fuori dal bar di Cosimo. Andar giù di notte con le pinze e un piede di porco, scardinare leggermente lo sportello della cassetta, infilare un braccio e tirar via più cartoline possibili, distinguendole al tatto dalle bollette.
Le pinze ce le prestava Carpacci, che suo padre di mestiere faceva il pescattore, no, non il pescatore, proprio il pescattore: recitava coi pesci, giuro. Aveva messo su tutto un teatrino dentro un acquario e con quello sopra l'Ape Poker andava in giro a far gli spettacoli: robe che lo chiamavan anche da fuori per vederle.
Dice che i pesci non è mica vero che non parlano, Carpacci, dice che son timidi, i pesci: all'inizio magari sì, le prime volte che provi a insegnargli Shakespeare, ai pesci, non ne voglion sapere, muti come pesci, i pesci, all'inizio. Poi però, pian piano, si sciolgono e allora sentissi che roba: c'era da esserci, dice Carpacci, quella volta che il persico trota improvvisò tutta a modo suo la parte di Rosencrantz nell'Amleto, che quasi non si riconosceva, dal pesciolino che era un mese prima, sempre zitto che per tirargli fuori due parole di bocca ci volevan le pinze quelle che avevi usato poco prima per tirargli fuori l'amo, di bocca, dice Carpacci.
Qui tutto male. Divisa alzabandiera freddo pioggia e polveriera. Resistiamo, amore mio, ancora un piccolo sforzo e poi non ci lasceremo più. Forse.
Il piede di porco ce lo dava Marcello, il macellaio, che tanto non lo voleva mai nessuno e a fine serata gli avanzava sempre, il piede di porco: mica come la lonza e il guanciale, che andavan via subito anche se lui li faceva pagare il doppio che alla Coop.
Comunque, era un lavoro complicato, un lavoro che ci voleva la mano, come diceva Bartolozzi. Un lavoro da finir veloce, senza far rumore e soprattutto senza lasciar tracce. Un lavoro che la mattina dopo non si doveva vedere: un lavoro fantasma, come dicevo io. Un lavoro da fantasmi, ribatteva Bartolozzi, che lui doveva aver sempre l'ultima parola.
Ci rivediamo nella prossima vita, stronza.
Che far troppo casino o esser troppo lenti, c'era il rischio di svegliare Cosimo, lui che dal suo bar non se ne andava mai e la notte dormiva sdraiato comodo sopra biliardo:
Si riferiva al mutuo ancora da estinguere, al calo del consumo medio del Fernèt, ai controlli, sempre più frequenti, della Finanza per via dei tornei di flipper sul retro, al figlio della signora Rossana, che ogni santo giorno si fregava un granulato all'amarena dal frigo e se ne andava senza pagarlo.
Cose così.
Dopotutto, eran tempi che i telefoni per funzionare c'avevano ancora bisogno dei fili, o al perso dei gettoni. Tempi che non c'era l'internet. Tempi che le ragazzine andavano a scuola nella migliore delle ipotesi col pigiama e non c'era nessuna possibilità di filmarle in tanga durante l'ora di religione per poi metter tutto su YouTube. E allora i maschi la cosa più trasgressiva che potevan fare era scambiarsi le figurine. Io e Bartolozzi ci scambiavamo le cartoline. Ti pare banale, cara te? Me mi pareva un passo in avanti notevole rispetto alla media nazionale.
Questo è il tuo posto ideale: ci sono solo tette! Paesaggio stupendo, con vista esclusiva sul vicolo. Mi sembra di essere Tinto Brass: porteranno tutte quante almeno una terza!!! Poi ti racconto. Se non ci credi faccio un po' di foto.
Concludeva rosicando Bartolozzi, lui che l'ultima parola, sempre la sua doveva essere.
Era un lavoro che facevamo con ingenuità e passione, per dire: a nessuno dei due è mai venuto in mente di utilizzare le cose che scoprivamo a scopo di estorsione, tentando di rivendere il materiale scottante, che ne so, alla moglie del Gianni o a John Kennedy.
Senza considerare il fatto che collezionare cartoline implicava automaticamente collezionare francobolli, almeno quelli che c'erano attaccati sopra: due collezioni al prezzo di una — se non si chiama ottimizzazione questa!
Tanto lo so che non telefoni. Io nel frattempo sono qui.
La più contesa era quella che ritraeva da un lato un mare, sconfinato come tutti i mari che si rispettino, con niente all'orizzonte, dall'altro invece era tutta bianca, senza una parola né una firma.
Bartolozzi diceva che doveva essere una roba da agenti segreti, scritta in codice con l'inchiostro simpatico o qualcosa del genere, e ha passato gli anni a venire a cercare di decifrarla, senza cavare un ragno dal buco.
Non so proprio cosa dirti. Ti lascio lo spazio per scriverci, quando ti arriverà, le parole che avresti voluto vedere.
Io invece sostenevo che no. Che sicuro era una cartolina da Praga, e che non c'era scritto niente perché ancora non era il momento. Che il mare a Praga ancora non c'è mica. Ma un giorno, ci spiegavo a Bartolozzi:
Non so come son finita qui. L'ufficio postale sembra abbandonato dai tempi di Garibaldi. Questa forse facevo prima a portartela a mano.
Poi invece, quel giorno. Mi sa che dovrò partire da solo. Che Bartolozzi ha smesso, non lavora più. Ha tirato su famiglia, lo hanno assunto alla Cassa di Risparmio e la Licia non ce lo manda mica in giro la notte a far «Robe da delinquenti!», come strilla lei quando mi vede passare sotto la finestra.
A volte, per la Festa della Donna — ovvero l'unico giorno in cui può abbandonare il focolare domestico — mi passa a trovare, Bartolozzi: porta due bottiglie di Fernèt e, dopo qualche brindisi, mi dice:
Li hai avuti anche tu quindici anni. Te li ricordi i vinili? Questo tizio c'ha una collezione che solo a guardarla ti scappa la lingua di bocca e diventa quella dei Rolling Stones.
Già. Che io no. Io ho continuato. Tutt'ora ogni tanto la sera scendo con le pinze e il piede di porco (oggi si compra tutto da Brico o da Castorama, e infatti è roba che va cambiata ogni due settimane: si rompe subito — mica come quello di Marcello che era duro come la selce che uno dice forse era per quello che gli avanzava sempre e la gente preferiva le salsiccie alle erbette o la lombata tenera tenera) e mi metto a lavorare alla cassetta.
È sempre più difficile: la mano trema e c'è da far più silenzio di una volta. Che c'è ancora Cosimo lì vicino. Il bar gliel'hanno confiscato, alla fine: l'ha comprato uno di Milano e ogni anno lo dà in franchising a un gestore diverso. Una volta si chiama "Cafè", un'altra "Bistrot", una delle ultime addirittura "Bruncheria". Roba da matti. Lui però, Cosimo dico, non si è mica rassegnato, e dorme sempre lì, sulla panchina appena fuori dalla serranda chiusa. A volte faccio troppo rumore e si sveglia, si passa una mano sul viso, guarda gli attrezzi che ho con me, poi scuote la testa e dice:
Ma lo dice con affetto, e gli scappa pure un mezzo sorriso prima che si rimetta a dormire, o almeno a far finta, giusto per non lasciarmi intravedere i lacrimoni che gli gonfiano gli occhi a ripensare a come si stava comodi straiati sopra il biliardo, "ai tempi delle teste di cazzo", per dirla con parole sue, lui che c'aveva — si sarà capito — un vocabolario un po' limitato, ma rendeva l'idea.
Questa volta in vacanza ci vado io. Dai da mangiare ai gatti e bagna l'ibiscus.
Ci son pure le volte (è la legge dei grandi numeri, non c'è niente da fare) che succede che mi capitano tra le mani cartoline mie. Tipo questa, cara te, te la ricordi? Improbabile. La stavo rileggendo ieri sera, mentre mi incamminavo verso casa in mezzo al buio di questo paese che ha scoperto l'elettricità, ma ancora deve capire come utilizzarla. Me la rigiravo tra le dita e pensavo: «improbabile».
Che non è mica una grande idea quella di spedire le cose e poi andarsele a riprendere dalla cassetta della posta, pensavo. È una roba da gente un po' suonata che di mestiere si arrampica sugli specchi. Gente difficile da raccontare, pensavo. Ma forse.
Forse, pensavo. Meglio così.
Ti sei presa anche questo. Puoi usarlo come orecchino. Facci un buco in mezzo e aspetta che l'infezione passi.