In religioso silenzio

In religioso silenzio

L'ennesima ammissione di inadeguatezza di fronte al bello nel suo senso più complesso. I Sigur Rós al Giardino di Boboli: un concerto difficile da raccontare anche se ne varrebbe la pena.

12 Luglio 2008

Pareva di esser su un altro pianeta. O, nella peggiore delle ipotesi, nel giardino del vicino: quel posto dove (è risaputo) l'erba è sempre più verde.

Pareva uno di quei momenti rari in cui puoi respirare lento e dimenticarsi delle assenze, dei come, dei cosa e soprattutto dei perché. Pareva una storia di quelle fatte apposta per sedersi ed ascoltare. Pareva il tempo del frattempo, quello in cui puoi perderci ogni sovappensiero senza che nessuno venga a rimproverarti.

Pareva il circo anche, a tratti. Un circo di carta e coriandoli, incrociato con un carnevale perennemente in ritardo.

Felicità assurde

E allora pensavo che ci sono felicità assurde e intense che uno scopre per caso.

Pensavo che chissà se si poteva. Chissà se si poteva contare il tempo che ci è concesso per guardare qualcosa fino in fondo, prima di esser costretti di nuovo a pensare a noi stessi.

Pensavo che chissà. Chissà se era lo stesso tempo che non ti basta mai quando dipingi qualcosa, il tempo che il pennello si regala prima di doversi di nuovo intingere nel colore. O forse lo stesso tempo che passa tra una nota e il momento in cui ne capisci il significato, giusto prima della successiva, che mescola il tutto in quell'inganno chiamato armonia. Pensavo che alla fine, ci vuole così poco.

Pensavo, pareva.

Un attimo solo

Sì. A un certo punto, è parso pure un concerto dei Sigur Rós.

Ma è stato un attimo solo. Il resto era una cosa di quelle che non si posson raccontare. Al massimo, portarle scritte in faccia.

Zitte dentro e illustrate fuori.

Ammissione di incompletezza
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