Pioggia come se piovesse

Pioggia come se piovesse

Il sequel del capolavoro di Ridley Scott, Blade Runner 2049, non esce con le ossa rotte dal confronto con l'originale. Solo un po' di reumatismi dovuti al tempo di merda.

15 Agosto 2020

Innanzitutto il meteo: le previsioni del Centro Epson nell'extramondo dicono ci aspettano secoli di tempo di merda. Se infatti nel 2019 pioverà sempre e dovunque, nel 2049 le solite nottate (perenni) uggiose di pioggia battente saranno alternate da qualche mezza giornata di neve sudicia. Alla faccia di quelli che stanno provando a terrorizzarci con quella storia del riscaldamento globale.

Denis Villeneuve — forte della sua proficua chiacchierata preventiva con gli alieni — si getta con l'incoscienza di un bambino in un progetto dal quale sa già in partenza avrà più da perdere che da guadagnare (non è un caso se a nessuno in quasi quarant'anni l'idea era mai passata nemmeno per l'anticamera del cervello — o comunque i pochi che ci avevano pensato ancora son lì a leccarsi le ferite), ovvero mettere le mani su uno dei film di fantascienza più iconici, più sezionati senza anestesia, più (male) interpretati, con i fan più iconoclasti e il maggior numero di gruppi Facebook (e gruppi di discussione per disintossicarsi a seguire) dedicati: Blade Runner.

Ambientato trent'anni dopo un futuro a cui son rimasti ormai meno di un paio di anni per verificarsi (improbabile), Blade Runner 2049 ruota attorno a una storia degna di Chi L'Ha Visto? — un misterioso bambino di cui nessuno sa nulla ma che tutti vorrebbero ritrovare nonostante nessuno sappia da che parte iniziare. Anche perché in realtà è una bambina, quindi il continuare la ricerca tra la metà sbagliata della popolazione non aiuta.

Il ruolo di Federica Sciarelli è interpretato dall'altrettanto bionda Robin Wright, la cui presenza è essa stessa uno spoiler di House of Cards, visto che ci conferma che nel futuro non ci sarà traccia di Frank Underwood e che, in una coppia, quella che sopravvive è sempre la parte più cazzuta: in generale quindi la donna, nel caso specifico la first lady — anche se finisce a dirigere il traffico dei replicanti in una stazione di polizia. A proposito di esseri inumani (qualcuno direbbe subumani), il suo pupillo Ryan Gosling dà il meglio di sé e mette in campo la sua specialità — ovvero l'espressività facciale di uno scaffale (vuoto) di BricoMan — che lo fa concorrere per il premio di "miglior attore alla meno" con Jared Leto, ex-bel faccino che ancora fa cadere un numero imprecisato di mutande, anche se ormai sono quasi cinque anni (nel 2049 saranno per l'esattezza trentasei) che non fa un disco con i 30 Seconds to Mars e che qui impersona con successo la versione hipster di un semidio cieco che abita in un sotterraneo del Salone del Mobile (zona Navigli, quartiere degentrificato). Harrison Ford, da parte sua — sulla scia dell'ultimo Star Wars — fa quello che gli riesce meglio, ovvero vive una seconda giovinezza cinematografica in cui impersona se stesso vecchio nei ruoli di quando era uno sbarbatello e, in termini di trama — per rimanere nel campo della metereologia spicciola — fa più danni della grandine, mentre a livello di gadgetistica la notizia è che, finita l'epoca degli origami, si assiste a un inspiegabile un ritorno di fiamma per i Mio Mini Pony, anche se in versione più minimal da artigianato equo e solidale.

Tempo in peggioramento, product placement aggiornato e nuovi quesiti senza risposte: l'update è pressoché completo, se si esclude Harrison Ford.

Lo sforzo di produzione è — come per l'originale — imponente e in questo senso una mano la dà sicuramente un product placement sfacciato quasi quanto quello dell'82. Se però ai tempi la cosa venne vista come una tecnica di marketing avanzata per coprire le spese della bolletta dell'acqua e il compenso dell'idraulico di scena, oggi risulta quasi un'auto-citazione dovuta: così, mentre la Coca-Cola la fa ancora da padrona, la buona vecchia TDK viene fagocitata dalla Sony, l'ATARI segna il suo debutto e — chi l'avrebbe mai detto? — la Peugeot si prende il monopolio dell'automotive saturando il mercato dell'ibrido con astromacchine che nemmeno in Pimp My Ride.

Insomma, alla fine della fiera, una roba che — contro ogni pronostico — pur non potendo brillare del tutto di luce propria, non esce con le ossa rotte dall'inevitabile confronto con il blasonato originale, ma anzi rilancia la posta in gioco aggiungendo alle classiche, irrisolte domande di un tempo (chi siamo? dove andiamo? cosa è reale e cosa no? chi è un replicante e chi un replicabile? quello di Iuliano su Ronaldo era rigore?) un ulteriore, inquietante quesito:

In questi maledetti trent'anni, che fine han fatto tutti i cinesi?

Blade Runner chinatown frame
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