Indie fino all'osso

Indie fino all'osso

Tornano i Built to Spill con il nuovo You in Reverse. Soprattutto torna Dough Martsch, con quella sua faccia un po' così, quell'espressione un po' così.

7 Ottobre 2006

Ci sono persone che, insomma, è più forte di loro: la volta che si trovano davanti all'occasione della loro vita, fischiettano e si girano dall'altra parte. Hanno una faccia vagamente malinconica e se li guardi negli occhi capisci subito che se un giorno passerà il treno giusto loro non lo prenderanno: al massimo ci si butteranno sotto.

Dough Martsch è uno di quelli, grazie a Dio.

Ci eravamo lasciati qualcosa come cinque anni fa (un'eternità in termini di produzioni musicali) quando lui e i suoi Built to Spill avevano confezionato quell'Ancient Melodies of the Future che si era rivelato essere un delizioso ossimoro armonico ben più di quanto lo fosse a parole nel titolo.

In cinque anni — così va la vita — di cose ne sono successe. Una su tutte: i Pavement non ci sono più e al loro posto c'è un buco grosso come l'America nell'indie-rock internazionale.

  • Cosa hai fatto in tutto questo tempo? Come ti sei preparato per il grande rientro dei Built to Spill, ora che la scena sembra pronta alla vostra definitiva consacrazione (a riprova di ciò sta il fatto che nel frattempo i vostri discepoli Modest Mouse stanno scalando le classifiche)?
  • Ho giocato a basket, guardato la TV via cavo, ascoltato blues: Non una brutta vita, ma alla lunga ci si annoia. Così ho ripreso in mano la chitarra.

Sarebbe bastato continuare lungo un percorso in parte già tracciato dall'iniziale Perfect from Now On, sarebbe bastato — e loro c'avrebbero messo un attimo, se solo avessero voluto — indovinare come singolo un gioiellino pop come la vecchia Car e sarebbero stati soldi a palate.

E invece

E invece alla domanda «dove eravamo rimasti?», il buon Doug si presenta con un qualcosa di commercialmente improponibile, un delirio praticamente invendibile, un martello che ti arriva dritto in faccia. E non è leggero: se la canzone pop prefetta dura tra tre e quattro minuti, qui le danze di aprono con Goin' Against Your Mind, nove — nove — minuti di orgia di sei corde che squassano e si squassano, accelerano, rallentano, picchiano, accarezzano, aprono ferite e in trenta secondi le suturano giusto prima di arrivare alla fine, quando ti fermi, fai mente locale, torni un attimo indietro con le note e ti accorgi che il tutto è stato appena giocato su due — due —accordi.

È lì che uno rimane a bocca aperta. Ma è giusto così, perché se vuoi veramente essere quello che (come ti definisce da anni la stampa americana) «ha tutte le carte in regola per raccogliere l'eredità dei Pavement e dei Dinosaur Jr.», ancor prima di imparare i modi più sghembi per mescolare due, tre, mille linee di chitarra, devi saper eccellere in un'arte che non si impara, in una dote che è ben più che un semplice atteggiamento: quella del cazzeggio consapevole del tutto privo di utilità tangibile, ovvero tempo che passa senza scopo di lucro.

Sì, alla fine è giusto così, perché arrivi in fondo e l'unica cosa che non puoi negare è che, ad oggi, You in Reverse è senza ombra di dubbio il capolavoro della band di Boise, Idaho.

E allora, ora, voi prendete, lo scaricate, lo comprate, lo rubate: fate come volete, ma lo ascoltate. Lo ascoltate e poi perdete le vostre tracce nell'intreccio di una traccia come Traces. Poi vi addormentate con il sorriso sulle labbra.

Se così non sarà, allora potete continuare ad ascoltare i Libertines, convinti che ciò vi renda estremamente alterantivi. D'altra parte, come direbbe mia nonna:

Contenti voi...

Ammucchiata selvaggia
ADSL blues