Non affittate quel casale

Non affittate quel casale

Un cast d'eccezione per uno dei film più brutti del secolo. Così brutto che, per il bene di tutti, meriterebbe il peggior spoiler. Se ci fosse sul serio qualcosa da spoilerare.

16 Luglio 2019

Prima di oggi Welcome Home era solo un bellissimo pezzo dei Metallica. Aveva un sottotitolo (Sanitarium) e infatti parlava di matti e di manicomi. In questo senso, mai titolo poteva essere più azzeccato per un film deprimente come questo. È vero, probabilmente non sono affatto fuori di testa, ma semplicemente incompetenti — eppure, nel dubbio, un bell'ospedale psichiatrico è il posto dove dovrebbero riposare (possibilmente in pace) regista e sceneggiatore di una storia del genere. Per il bene della collettività, intendo.

C'è l'ottimo Jesse di Breaking Bad che sembra aver superato i suoi problemi di droga e ora sta insieme alla meravigliosa Emily Ratajkowski, che appena si muove rischia di trasformare il tutto in un video dei Maroon 5. La cosa dichiara subito il suo impianto fantascientifico, visto che i due sono un po' in crisi perché lui ha qualche problemino di erezione. Nel senso, per quanto possano essere gravi gli effetti sulle funzionalità vitali del proprio fisico dopo cinque stagioni a cucinare mentanfetamine, la situazione pare piuttosto inverosimile, soprattutto se davanti hai un tal popò di figliola. Anche se, bisogna ammettere, quella storia dei Maroon 5 immagino non aiuti.

A riportare il tutto su un livello di realismo spicciolo però ci pensano Scamarcio che fa lo scamarcio di turno — il figo con gli occhi azzurri, impacciato e gentile all'apparenza ma tenebroso come un server russo nel profondo — e il tizio di Suburra che fa la versione lo-fi del tizio di Suburra — un padrino de noantri che ha investito nel mattone sui colli e prova a pescare nel torbido del dark web che sta sotto booking.com.

A differenza della vita vera, finirà male per entrambi, il che chiude il cerchio facendoci tornare nel campo della science-fiction wannabe, o comunque della fantasia irrealizzabile.

Anche se, a conti fatti, i veri protagonisti dell'unico potenziale — se vogliamo proprio avere la bontà di chiamarlo così — colpo di scena saranno dei derelitti nani da giardino, che si prenderanno così la loro di rivincita sul mondo del cinema, dopo essere stati ingiustamente bullizzati per anni, dai tempi de Il Favoloso Mondo di Amélie.

Un film che potrebbe essere passabile di denuncia da parte dell'Ente del Turismo Italiano.

Ma il peggio è il messaggio che rischia di arrivare, in una società incoerente come questa: iperconnessa senza precauzioni, ma a intervalli regolari improvvisamente e pesantemente imparanoiata riguardo a come verranno utilizzati i propri dati personali.

Perché questo è un film che Agriturist dovrebbe querelare e portare in tribunale con una citazione milionaria per danni, in quanto rischia di affossare (più di quanto non lo siano già) le disastrate finanze della nostra penisola, che — come è ben noto — ormai per campare fa affidamente giusto su quel paio di mesi estivi in cui gli stranieri chiudono un occhio e, per il tempo di una vacanza, preferiscono pensare alle bellezze artistiche e paesaggistiche che ancora sappiamo offrire piuttosto che al caos che c'è dietro.

Uno spot al contrario, in cui una coppia di giovani americani affitta su Airbnb uno splendido casale dolcemente adagiato nella pace dei vigneti della campagna di Todi, per poi scoprire che in realtà era tutta una messa in scena da parte dei soliti italiani brava gente — gente brava soprattutto a imbastire un complicato quanto banalissimo ambaradan a circuito chiuso in modo da spiarli, fregarli e fare soldi facili e illegali con un business sempre più in ascesa: il voyeurismo.

Un racconto che non avrebbe avuto modo di salvarsi nemmeno nelle mani di un Brian de Palma o di un Micheal Mann, ma che qui non manca di avvalersi di una sceneggiatura imbarazzante su tutta la linea, costruita mettendo in fila i peggiori luoghi comuni, dialoghi da professionisti dell'analfabetismo funzionale e attori che sembrano regrediti al primo anno di scuola di recitazione. Scuola elementare, dico. Anzi, materna.

Se il mondo fosse un posto decente, George Ratliff e David Levinson sarebbero bannati vita natural durante da Hollywood (ma anche dal circolo del cinema di una qualunque Casa del Popolo) e restituirebbero le loro braccia rubate non tanto all'agricoltura (che ha la sua rispettabile dignità), quanto all'indispensabile arte dello spalare merda di gallo dai pollai. Magari come lavoratori stagionali (possibilmente sottopagati) in uno di quegli adorabili agriturismi umbri dei quali hanno contribuito a dimezzare gli incassi prima pensando un film del genere, poi facendolo uscire — se in maniera sadica, strategica o semplicemente incosciente non ci è dato sapere — proprio alle porte dell'alta stagione.

Mongol metal is the new black
Quel vizio di metterci la faccia