Da lupi e meraviglie a lustrini e varietà: The Clearing è l'album in cui gli Wolf Alice si scoprono da bosco e da balera, definendo a tutti gli effetti un nuovo genere musicale: il carrà-core.
27 Agosto 2025
Questa non ce la saremmo aspettata, da una band con un marchio di fabbrica che sembrava ormai ben definito attorno a semplici stilemi atti a far sì che i rock anthem al femminile sguazzassero beati nell'immaginario fiabesco figlio dell'incontro — rigorosamente al bar, al ritmo di un bicchiere di assenzio dietro l'altro — tra Hans Christian Andersen e Lewis Carrol, raccontanto una sera attorno al fuoco da mia nonna. Ubriaca pure lei, s'intende.
C'era una volta Ellie Rowsell col giubbotto di pelle e la chitarra a tracolla, novella Alice che invece di seguire il Bianconiglio — forse per sbaglio, forse come gesto di ribellione adolescenziale tipicamente ruooock — trovava il suo personale Paese delle Meraviglie rincorrendo il lupo di Cappuccetto Rosso in un mash-up di favole visionario e distorto (nel senso di Boss SD-1 Overdrive). Ecco, oggi smette i panni borchiati per un body di pailettes abbinato con cinturone a vita alta, calza pesante ascellare e stivaletto da cavallerizza. Un po' Florence Welch in botta da antidepressivi, un po' Raffaella Carrà rossa malpela. Un po' Jane Fonda glam, un po' female wrestler di Glow — nel tentativo di reinventarsi icona che non si limita a cantare, ma fa la mossa ad ogni ritornello, trasformando quel gesto spezza-collo in metrica musicale.
Con The Clearing gli Wolf Alice lasciano definitivamente la foresta incantata e arrabbiata dei primi album per approdare in pieno varietà televisivo europeo. È un disco che non racconta più novelle grunge, ma mette in scena una fiesta permanente, dove si balla balla su note scintillanti di lustrini e ogni riff viene illuminato da fari colorati degni di Canzonissima. Un disco che — non fraintedeteci — a modo suo fa ancora rumore, ma in maniera diversa da come ci eravamo abituati: tipo un tuca-tuca suonato sul palco del Primavera Sound, o PJ Harvey che zampetta sulla pista di Discoring, pronta a far l'amore da Londra in giù fino a Santa Fe, sulle orme di Pedro-Pedro-Pè.
Un disco coraggioso, senza ombra di dubbio. Perché sarebbe stato semplice ripiegare sull'indie-rock scuro e nostalgico degli esordi, lisciarsi il pelo da stregatta, ululando alla luna le solite improvvise scosse di fuzz su testi da regina di cuori spezzati. Al contrario, Ellie e compagni hanno scelto di sacrificare l'intensità collerica degli inizi in favore di un varietà in technicolor, di una certa teatralità da balera, di una colonna sonora soft porn sotto luci stroboscopiche.
Ci vuole un bel po' maestria per non uscirne scottati, e una personalità da showgirl navigata per accettare le relative critiche, che siamo sicuri non tarderanno ad arrivare. Intanto, però, il messaggio è chiaro: per essere alternative non serve più perdersi nei boschi, basta imparare a battere le mani sopra la testa — e soprattutto a buttarla (la testa, dico) all'indietro al momento giusto, con tutta la naturalezza kitsch che serve. Se sarà stata una decisione azzeccata, e il messaggio farà breccia nei cuori e nella pancia dei fan, ce lo diranno i posteri.
Nel frattempo, tanti auguri.