Doppelgänger

Doppelgänger

Una tragica storia di dipendenza, scambi di persona e domande irrisolte: l'ennesimo dramma del rock, Ed Sheeran nei panni dell'ennesimo giovane fregato da un successo troppo rapido.

1 Ottobre 2012

Brutta storia, quella di Ed Sheeran, sbarbatello cantautore inglese, finora noto al grande pubblico più per i suoi capelli rossicci messi in piega alla Playmobil e per le sue felpe dai colori improbabilmente pastello che per le sue effettive capacità artistiche. Una storia, dicevamo, che ci insegna come, nella vita, anche con una roba bellissima come i LEGO, meglio non esagerare, perché anche una roba come i LEGO, innegabilmente bellissima, può, soprattutto nei soggetti mentalmente più suggestionabili, creare una dipendenza che poi inevitabilmente finisce per portare a conseguenze spiacevoli, se non accuratamente incanalate su più innocui binari da un professionista. In psichiatria, s'intende.

Sì, perché il buon Ed era un giovanotto di belle speranze della scena pop d'oltremanica: bambino prodigio nato ad Halifax (dove già a tre anni suonava la chitarra e componeva canzoni), nel 2005 si trasferisce a Londra per dare una svolta decisiva alla sua carriera di musicista, ma le cose non vanno esattamente come mamma aveva sperato quando, ancora in fasce, l'aveva mandato a lezione di solfeggio da Elton John. Nella grande metropoli, infatti, il piccolo Ed entra per sbaglio nel giro dei grandi magazzini Harrods e qui scopre i cari mattoncini colorati che segnano l'inizio del suo precoce declinio. Il ragazzo infatti fa del gioco più bello di sempre la sua ossessione compulsiva, inizia a scrivere solo brani che parlano di distruggere per poi ricostruire, si incupisce di brutto, passa le giornate chiuso nella sua stanzetta, circondato da lampade a stelo di dubbio gusto, nutrendosi solo di gomme da masticare usate, all'insegna dell'autismo, mentre smonta e rimonta il suo elicotterino preferito nel tentativo, quasi sempre vano, di trasformarlo in una villetta bifamiliare con giardino in classe energetica A o tenta di applicare, quasi sempre senza successo, le regole dei LEGO a tutti gli altri oggetti del suo quotidiano (per dire: è dura da accettare, come verità ineluttabile, ma una chitarra Josè Ramirez da 1200 sterline, esemplare unico figlio della mani appassionate di un mastro liutaio di Albacete, se la spacchi con un martello, poi è difficile rimetterla insieme).

Il momento cruciale arriva la sera del suo live più atteso, a chiusura del tour mondiale che ha seguito l'uscita del suo acclamatissimo album di debutto +. La Royal Albert Hall di Londra è sold out e una folla di ragazzine in delirio armate di smartphone altro non aspetta che piangere cantando insieme a lui i suoi successi più famosi come The A Team, Wake Me Up, Kiss Me. Il resto è storia recente: le immagini hanno fatto il giro dei principali network, tutti i giornali scandalistici ne han riempito le copertine e anche Striscia La Notizia gli ha dedicato uno speciale mandando il Gabibbo a intervistare i passanti per Kensington Road vestito come la regina Elisabetta. Non è facile infatti dimenticarsi Ed Sheeran che sale sul palco con lo sguardo allucinato di Jack Nicholson in Shining, senza chitarra ma con su la sua felpa preferita (quella rosa-salmone col cappuccio foderato di una fantasia che proprio non si può guardare) e invece di attaccare con il grande classico Give Me Love, inizia a urlare come il più becero venditore di una TV privata: dice che è uscito il nuovo LEGO X-Wing Starfighter, che è fantastico con il suo carrello di atterraggio retrattile e la sua cabina di pilotaggio apribile, che tutti dovrebbero provarlo, che, una volta messi insieme i 560 elementi necessari per montarlo, è grosso così. E fa il gesto allargando le braccia per mimarne le dimensioni.

Debunking

O questa almeno è la versione semi-ufficiale dei fatti, fornita dall'addetto stampa del cantante (dietro promessa solenne che non ne facesse parola con nessuno) a Red Ronnie che ha da sempre avuto un rapporto privilegiato con lo sfortunato artista britannico in virtù delle loro affinità di chioma.

In realtà — come ci ha mostrato Carlo Lucarelli nell'ultima puntata di Almost True (i gialli del rock) — gli eventi non sembrano essersi svolti in maniera così lineare come vorrebbero farci credere e l'unica testimonianza filmata che abbiamo (recuperata dal sistema di sicurezza dell'ascensore) lascia obiettivamente molti dubbi al riguardo. Perché sul palco gli addetti alla sicurezza sono due e nel corridoio, pochi secondi dopo, solo uno? Chi è il tizio con al collo quel badge palesemente contraffatto che accompagna il nuovo Ed fuori dalla porta automatica? Come mai anche lui ha una felpa? Cos'è quello sguardo complice tra i due Ed? Ma soprattutto, quale dei due è il vero Ed? Nell'istante esatto dello scambio infatti la messa a fuoco automatica della videocamera a circuto chiuso ha un'esitazione, la ripresa si fa per un attimo confusa e non è da escludere l'affascinante possibilità che, nella concitazione del momento, il nostro eroe psicolabile sia riuscito a sua volta a sostituirsi al sosia che l'aveva sostuito un attimo prima (che sarà mai, in Fringe succede continuamente), in barba ai gorilla della security e al cinismo dello show business.

La cosa, ci piace pensare, non è così inverosimile. Anzi, dirla tutta, quasi plausibile, ci pare — dopotutto, sarà che si parla di LEGO, ma una cosa è certa:

Questa gente c'han tutti la stessa faccia.

Note a margine
Questa recensione affrettata era stata commissionata in esclusiva per legolovers.com ed è comparsa per la prima volta sull'omonimo sito, che poi è stato eliminato dall'internet per motivi a oggi non del tutto chiariti: le indagini sono ancora in corso, ma si sospettano forti pressioni da parte della lobby dei giocattoli. La riportiamo anche qui per questioni di vanagloria, completezza e perché Spineless è come il maiale: non si butta via nulla. Ma soprattutto per non dimenticare, a perenne monito, per ogni artista debuttante, di stare attento a non farsi sedurre dalla chimera del facile successo. Perché quello, poi, ti fa a pezzi. Anzi, a mattoncini.
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