Strucchi del mestiere

Strucchi del mestiere

Soap&Skin torna con un album che non lascia spazio a trucchi di make-up e ti si presenta alla porta di prima mattina proprio così: al naturale, acqua e sapone.

26 Ottobre 2012

Anja Franziska Plaschg è una ragazza relativamente sveglia e, quando ha deciso che avrebbe voluto diventar famosa registrando dei dischi, la prima cosa che ha capito è che con un nome che non si sa se si fa più fatica a leggerlo o scriverlo non sarebbe andata da nessuna parte. Ha così pensato di farsi conoscere al grande pubblico sotto lo pseudonimo di Soap&Skin, scelta che forse avrebbe dato risultati più tangibili se avesse deciso di diventar famosa vendendo prodotti di bellezza porta a porta. O facendo la commessa alla Lush.

Questo moniker infelice (mai quanto il nome di battesimo, concordiamo, ma comunque infelice) pare infatti andare stretto all'ex bambina prodigio austriaca, e risultare per lei un pesante fardello che la vincola nelle sue scelte stilistiche oltre che, inevitabilmente, influenzare la critica, che pare propensa a commentare la sua pelle pulita e senza brufoli più che il valore effettivo delle sue canzoni. E allora anche noi, pur con sommo rammarico, come possiamo esimerci dal raccontare questo secondo disco della giovane artista in un'ottica di cosmesi al naturale?

Era una domanda retorica, quindi evitiamo di rispondere e andiamo avanti. Certo non possiamo dire che la cara Anja, con questo nuovo Narrow, abbia rinnegato completamente quando fatto con il precedente Lovetune for Vacuum. Anzi. I due dischi, ad una prima superficiale analisi, sembrano praticamente uguali: caratterizzati da un background scuro e palesemente incentrati in primo piano sull'egocentrismo della ragazza. Se ci diamo il tempo di un confronto più approfondito però, le differenze vengono a galla e testimoniano invece una scelta decisa e un radicale allontanamento dalla vecchia produzione artistica. O quantomeno dalla vecchia parrucchiera.

Se infatti nel primo disco (pur sempre senza esagerare, per non rovinare la sua reputazione di brava ragazza sociopatica di non certo facili costumi) si notava una innegabile ricerca estetica nella cura del corpo (i capelli sì spettinati, ma spettinati bene, raccolti in una crocchia a modo suo civettuola, un tocco di fondotinta bianchiccio di scuola dark, eyeliner, rossetto e sopracciglia rifinite, a citare tutti i dogmi della make-up artist di Tim Burton), questo ultimo album invece testimonia come la Nostra, nei tre anni trascorsi tra le due uscite, si sia (permetteteci di usare un eufemismo che, in termini di scrittura creativa pop, fa il pari con la domanda retorica di cui sopra) lasciata andare. Pure troppo. Sì, perché la Soap&Skin che ritroviamo qui pare essersi appena svegliata. Dopo una notte con Mike Tyson, però. Il volto quasi tumefatto, le labbra gonfie e spente, il naso schiacciato, i capelli scoloriti e con una ricrescita imbarazzante.

Il messaggio è evidente: Anja Plaschg si è stancata sia del soap profumato che della skin di velluto, ha detto basta a creme, cremine, trucchi, trucchetti e cosmetici testati sugli animali e ha deciso di dare alla sua musica una svolta più eco-friendly e assolutamente acqua e sapone. Proposito apprezzabile, per l'amor di Dio. Però, non per far gli Enzo Miccio dell'indie sperimentale, ma insomma: figlia mia, presentarsi alla porta con quelle occhiaie, che figura ci facciamo?

Invertiti
Sessantadue