Sessantadue

Sessantadue

Una storia di statistica, calcio globale e politiche demografiche: sulla strada della collaborazione internazionale e dell'uguaglianza sociale, mattocino dopo mattoncino.

2 Novembre 2012

Mio zio Angelo dice che nel mondo siam sei miliardi. Io non lo so mica se crederci. Non perché mi sembran tanti, sei miliardi, ci mancherebbe. Convertiti in euro saremmo poco più di tre milioni: mica tanti, tre milioni. E poi ho imparato a scuola che di spazio ce n'è, su questo pianeta, anche se dopo ho letto sul giornale che i cinesi con questa scusa pare si stan prendendo un po' troppe confidenze. Ma vabbè: non sta a me metter bocca nelle questioni economico-demografiche orientali, e soprattutto non è lì il punto.

Il punto è che non so mica se crederci a mio zio Angelo. Lui dice pure che ha fatto la guerra in Vietnam e anche un paio di provini per la Juve. Solo che io non ce lo vedo mica un bimbetto italiano di dieci anni in mezzo all'umido della foresta di Saigon ad annusare il profumo di Napalm la mattina presto verso la fine degli anni Settanta e a cercar tra i cespugli malarici dei sedicenti soldati (simili ai cinesi, ma più incazzati) nascosti dietro grossi copricapo di paglia che avevan pure il coraggio di chiamare elmetti. È del '63, mio zio Angelo. Più verosimile, in termini d'età, la storia dei provini per la Vecchia Signora. Non mi convince granché solo la presunta risposta dell'avvocato Agnelli (in persona, giura mio zio): «Il ragazzino con la palla tra i piedi è un fenomeno, ma purtroppo in quel ruolo dietro le punte abbiamo appena riscattato Giovinco». È dell'87, Giovinco.

Sei miliardi

Però poi anche l'omino rosso che è alla guida della mia astronave mi ha confermato che sì: pure lui che ogni tanto si fa delle scampagnate in giro nell'iperspazio dice che a contarci dall'alto pare che stiam intorno a quella cifra lì, su questo pianeta sferico leggermente schiacciato ai poli e con l'asse inclinato di qualche grado rispetto non si sa bene a cosa, visto che là fuori siam nel quasi nulla cosmico, praticamente al buio e trovar un sistema di riferimento è più difficile che scovare un viet-cong tra le frasche afose di Hanoi o un tifoso del Torino a prendere il caffè al club Gaetano Scirea di Capannori.

In ogni caso, sei miliardi. Omino più omino meno. Anche se i cinesi son più piccoli e si contan male, da lassù: questo è costretto ad ammetterlo anche l'omino rosso che è alla guida della mia astronave, lui che i cinesi gli stan pure discretamente simpatici, perché c'han la faccia gialla quasi come la sua. Però meno sorridente.

Ma comunque. Io ora non lo so se l'omino rosso che è alla guida della mia astronave sa contare fino a sei miliardi, cosa si vede fuori dal finestrino di plastica di un'astronave di plastica che si muove sfruttando la propulsione a curvatura e quanto tempo serve, per contare fino a sei miliardi, se basta o no un giretto nell'iperspazio dopo la merenda delle quattro di pomeriggio, ma sempre con l'obbligo di rientrar prima di cena che altrimenti poi mia nonna la senti. Magari sì, magari basta, che magari anche i pensieri sfioran la velocità della luce e si conta più velocemente, nell'iperspazio.

Quel terzo mondo pallonaro

E allora facciamo che per una volta diam fiducia a mio zio Angelo. Facciamo che siam sei miliardi, su questo pianeta fatto d'acqua, carbonio, cinesi e mattoncini colorati.

Che poi, volerla raccontar bene, mio zio Angelo a suo tempo amava precisare che siam sei miliardi se contiamo proprio tutti. Proprio tutti tutti. Tutti tutti tutti tipo anche quelli della Somalia e di Taiwan, che col gioco del calcio non c'han niente a che spartire.

Dice che c'entra il calcio. Se c'entra mio zio Angelo, c'entra anche il calcio, questo credevo che ormai fosse appurato. Sì, perché mio zio Angelo divideva le nazioni sviluppate, sottosviluppate o in via di sviluppo in base alla loro posizione nella classifica FIFA. C'aveva tutta una sua geografia mentale di un terzo mondo pallonaro che compariva raramente sulla Gazzetta dello Sport, tutta una serie di paesi bislacchi che non valeva la pena considerare troppo nei discorsi seri ma che facevan solo tanta tenerezza, loro che non sapevan fare tre palleggi di fila nemmeno con un Tango. Io poi ce lo dicevo, a mio zio Angelo, che doveva stare attento, a far questi discorsi in giro, per strada o giù al bar, che poi la gente fraintendeva e lui rischiava di passar per razzista. Ma lui rispondeva che no, che le razze, e la discriminazione di pelle, fazione politica o religione non c'entravan niente. Per dire, faceva l'esempio mio zio Angelo, nemmeno quei fighetti del Lussemburgo o quei vichinghi ariani delle Isole Far Øer eran capaci di metter dentro un rigore a porta vuota, eppure nessuno si sognava mai di tirar in ballo Nelson Mandela per commentare un gol (per quanto raro e improbabile) di Luc Holtz o Rógvi Jacobsen. Anzi, voler esser pignoli, era una suddivisione molto più cristiana, egualitaria e onesta la sua, lui che se uno sapeva far bene la diagonale difensiva, poteva pure esser zingaro o votare socialista (o addirittura entrambe le cose contemporaneamente, pensa te) e non faceva differenza, si infervorava andando avanti nel discorso, mio zio Angelo. Io allora ci dicevo sì va bene, a mio zio Angelo, per farlo stare un po' zitto che dovevo far i compiti di geografia. Sei miliardi siamo, ci dicevo, me lo segno sul quaderno così vedi che figurone domani con la maestra.

Tutto sommato, era un ragionamento che a modo suo non faceva una piega, pensavo, un discorso che aveva il suo filo. Tutto storto e intrecciato su se stesso, ma il suo filo ce l'aveva. In fin dei conti, non è che mi potessi aspettare molto di più da un trentenne già mezzo calvo e un po' sovrappeso, che dormiva con la tuta della Diadora (70% sintetico di un tipo, 30% sintetico di un altro tipo), quella della nazionale di Italia '90, e che era già tanto se era riuscito ad arrivare quasi alla fine di questo millennio, vista l'infanzia che gli era toccata, traumatizzato nel giro di pochi giorni prima dall'orrore nella guerra nel sud-est asiatico e poi dai rifiuti ricevuti a bordo campo a Villar Perosa da un magnate dell'industria automobilistica italiana con la "erre" elegantemente moscia e la faccia elegantemente come il culo.

Così mio zio se ne andava, soddisfatto, scendeva giù al bar a parlar di pallone con chi se ne intende.

Sessantadue

Si rimaneva io e l'omino rosso che era alla guida della mia astronave, che mi aiutava a fare i conti per compiti di matematica, lui che era appena tornato dall'iperspazio e c'aveva ancora la mente ben allenata con i neuroni che viaggiavano quasi alla velocità dei neutrini, anche se l'effetto stava pian piano svanendo. Per questo bisognava sbrigarsi. E poi la minestra era quasi pronta, strillavano dal piano di sotto.

Non essendo il 1989 inoltre né l'anno dei Mondiali né quello degli Europei, mio zio Angelo era a casa sua, a una distanza di sicurezza calcolata approssimativamente intorno alla quindicina di chilometri e quindi praticamente innocuo, il che rendeva quella mattina d'estate decisamente più rilassata. Così si tiravan già dei numeri sul quaderno a quadretti, quello dei Transformers, si faceva la divisione, quella a mano, con divisore dividendo quoziente e resto, e si arrivava al risultato pressoché esatto: 62. Non c'eran santi, anche facendo la riprova del nove le cifre coincidevano: sessantadue. Sessantadue mattoncini LEGO a testa per ognuno dei 6 miliardi di abitanti di questo mondo infame. Anche per i cinesi.

Che poi ora non voglio star qui a prendermi troppi meriti al riguardo: non è che fosse niente di che. Sessantadue era ovviamente una semplice media uniformemente distribuita. Alla fine si trattava sempre dei compiti di matematica, mica quelli di calcolo combinatorio II. E allora sessantadue era un'idea, un'espressione di democrazia numerica così democratica come solo l'algebra sa essere. Sessantadue era quello che avrebbe dovuto essere. Altro che comunismo: sessantadue mattoncini a testa e via andare.

La realtà però, purtroppo, come sempre accade, era ben diversa. Per dire, solo io ne avevo mille e cento otto.

Dice come fai a ricordartelo. Ma figuriamoci se me lo ricordo: ho preso l'ultimo libro di Dan Brown, due chili di carta, dallo scaffale della Feltrinelli, ho aperto a caso verso la fine e mi son segnato il numero della pagina per aver la risposta pronta in casi come questi: 1108. È la stessa tecnica che uso per compilare il 730, anche se per quello funzionan meglio i libri di Umberto Eco. Che poi non lo so perché sto qui a svelarvi i miei trucchi.

Fatto sta che sicuramente ne avevo più di sessantadue. Molti più di sessantadue. E se io ne avevo più di sessantadue era fin troppo facile il nuovo calcolo che diceva che qualcun altro doveva averne meno di sessantadue. Molti meno. Forse nessuno. Un mondo senza LEGO: com'era possibile?

Un passo indietro

E allora sessantadue diventava un'accusa, diventava un rimorso. Sessantadue diventava l'immagine di tutti i bambini del Biafra con gli occhi cisposi di pianto e la pancia gonfia di nulla che ti dicono sai quanti mattoncini cho io? Zero. Dammi i sessantadue mattocini che mi spettano, brutto capitalista maiale dell'occidente automatizzato, figlio della dolce vita, del boom economico del dopoguerra e del calcio che conta, te che hai vinto i mondiali dell'82 e di mattoncini ce ne hai mille e cento otto. Roba pesa.

E infatti questo è stato un incubo che mi son portato avanti negli anni, che certe notti non mi ha fatto dormire e che, per le fitte di senso di colpa che mi dava, ieri mi ha impedito di comprare l'escavatore motorizzato Technic, che sarebbe un aggeggio fichissimo che avevo iniziato a metter i soldi da parte fin dal primo stipendio e che sognavo da quando ero alto così e da grande volevo far l'operaio della stradale perché mi pareva d'aver capito, guardando la pubblicità della Coca-Cola Light, che si cuccava, far l'operaio a torso nudo fuori da quei grattacieli a vetri, quelli dell'alta finanza, stipati di segretarie accaldate in camicetta e tailleur.

Ecco perché io, ora, a trentaquattro anni e alle soglie della pensione, ho deciso che è giunta l'ora di chiedere scusa, di recitare un severo mea culpa e di fare un passo indietro riscattandomi, almeno in parte, con un gesto di forte impatto comunicativo e sociale. No, non mi dimetto. Sarebbe troppo semplice e fuori moda.

Regalo i miei mattoncini.

Sì, hai capito bene, caro utente anonimo. Lo vedo dallo sguardo commosso e ammirato che hai sulla faccia che improvvisamente ti è diventata, anche a te, gialla e sorridente, che hai capito bene. Regalo i miei mattoncini.

E allora se sei uno di quegli sfortunati legolovers a cui la sorte ha concesso una quantità di pezzi di plastica incastrabile inferiore alla quota minima sindacale ufficialmente stimata in un numero pari a sessantadue (decreto legislativo n.972 del 16 Ottobre 1991), scrivimi: raccontami la tua triste storia e — senza distinzione alcuna (se si eccettua un filtro antispam di ultima generazione) — che tu venga da un paese dove lo sport nazionale è il curling o da uno dove il piatto principale son gli involtini primavera, ti verrà restituito il maltolto. Alla faccia di una scienza non esatta come la statistica. E anche di mio zio Angelo.

La procedura è rapida e lineare: con una semplice sottrazione verrà stabilito quanti mattoncini ti mancano e gli stessi ti verranno spediti a stretto giro di posta all'indirizzo che avrai avuto la cortesia di indicarci. Fino a esaurimento scorte, s'intende. Che io, quelli c'ho: mille e cento otto, omino rosso e astronave esclusi.

Dopotutto, come diceva Nostro Signore:

Mica posso far tutto io, qua.

Note a margine
Questa storia era stata originariamente raccontata in esclusiva per legolovers.com ed è comparsa per la prima volta sull'omonimo sito, che poi è stato eliminato dall'internet per motivi a oggi non del tutto chiariti: le indagini sono ancora in corso, ma si sospettano forti pressioni da parte della lobby dei giocattoli. La riportiamo anche qui per questioni di vanagloria, completezza e perché Spineless è come il maiale: non si butta via nulla. Ma soprattutto per non dimenticare, a perenne memoria che la risposta alla domanda sulla vita, l'universo e tutto quanto sarà pure 42, ma anche 62 spiega tante cose.
Leggi anche
Strucchi del mestiere
Giochiamo a fare i musicisti