Metropol In

Metropol In

Il nuovo disco degli Wild Beasts potrebbe essere il perfetto incrocio tra Metropolis di Fritz Lang e Drive In (sì, il buon vecchio programma di Italia 1): intransigenza e lustrini, sobrietà e caciara.

11 Dicembre 2016

Rigore e pailettes: i quattro di Kendal tornano dopo due anni con le idee un po' più chiare e il tentativo — possiamo già anticipare, riuscito a metà — di indirizzare quel caleidoscopio di idee che era il precedente Prensent Tense verso una direzione più definita.

Dicevamo, riuscito a metà, perché in realtà questo nuovo Boy King più che finire su una strada ben precisa si ferma davanti a un bivio e, non sapendo da che parte andare — anzi, a voler essere esatti, volendo andare da entrambe le parti — taglia in mezzo per i campi senza essere ben cosciente di dove lo porterà il nuovo viottolo che sta tracciando. Dopotutto è vero che ridursi a due opzioni partendo dai sedici spicchi iniziali è già un bel passo avanti, e allo stesso tempo è innegabile che, storicamente, spesso una qualche forma di dualismo può portare a una spinta propulsiva dai benefici effetti.

Come ritrovare i bronzi di Riace nel cesso di un bar per soli uomini con sul petto inciso YMCA.

E questo infatti è quello che sembra accadere all'ultimo album degli Wild Beasts, un disco che procede per contrapposizioni e che pur risultando a un primo impatto sgargiante come l'insegna al neon si un lounge bar di Manhattan, non nasconde un retrogusto oscuro e apocalittico. Nel perfetto stile di Hayden Thorpe e soci, Boy King è la solita garanzia alt-pop con la faccia di bronzo: un insieme di tracce ammiccanti ma sessualmente ambigue, un disco che il triangolo no non l'aveva considerato, ma poi ha deciso di affrontarlo in maniera forte e maschia — anche se pur sempre gender fluid — e il cui ascolto si rivela un'esperienza così eccitante da esser quasi traumatica. Come ritrovare i bronzi di Riace — invece che nel mar Ionio, a largo di Porto Forticchio — nel cesso di un bar per soli uomini con sul petto inciso "YMCA". In greco antico, s'intende.

Epico come un colossal degli anni Sessanta con la post-produzione del 300 di Zack Snyder, ma filtrato attraverso l'estetica hippie di un videogame arcade anni Ottanta, Boy King prende progressivamente senso proprio grazie ai contrasti di cui si nutre, annegando la sua anima espressionista in un'estasi marcia e corrotta di stampo consumistico, che lascia il suo originario rigore muto a farsi esplodere come un ignaro kamikaze da boom economico.

Il risultato è un album notturno e affascinante, tirato a lucido nella sua sporcizia, che ha sì qualche difetto di identità, ma almeno ha la scusante di dichiarare le sue intenzioni sin da subito, a partire da quella cover che mostra senza ritegno quale sarebbe stata la locandina di Metropolis in un universo parallelo in cui Fritz Lang, invece che passare le serate con Thea von Harbou, si fosse ammazzato dalle seghe davanti alle succinte e procaci ragazze fast-food di Drive In. Il vecchio show di Italia 1, dico.

Sì, esatto: quello con Ezio Greggio, Enrico Beruschi e Camen Russo.

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