Natasha Kahn si regala al pubblico come mamma l'ha fatta in un album che già dal titolo riporta in auge un femminismo mai sopito. Alla faccia di Francesco Bianconi: patriarcato, scànsate!
25 Gennaio 2013
Delusione su tutto il fronte, in assoluto: Natasha Kahn questa volta ci ha spezzato irrimediabilmente il cuore.
Sì, perché se da un lato, per noi recensori moderni, un titolo come "Bat for Lashes nuda!" è semplicemente manna dal cielo (accessi ai blog centuplicati, tirature folli di fanzine una volta stampate in casa in numero due/tre copie, citazioni honoris causa in homepage su YouPorn), dall'altro mai ci saremmo aspettati di vedere la dolcissima polistrumentista inglese di origine pakistana cadere così in basso. Così in basso da dover ridursi a prendere come ispirazione per il suo nuovo e attesissimo album The Haunted Man, niente popò di meno che il primo (e per ora unico, grazie al cielo, ma temiamo non ancora per molto) romanzo di Francesco Bianconi, intendiamo. Francesco Bianconi da Montepulciano, il cantante dei Baustelle, non so se ci siamo spiegati. Scusate, avremmo dovuto dire il "leader", come precisa l'appunto sulla copertina. Scusate, avremmo dovuto dir "frontespizio", per usare un linguaggio più aulico e consono al personaggio in questione.
La ragazza ovviamente, tramite il suo ufficio stampa, nega, dice che non sa chi sia questo Bianconi, che non ha mai sentito parlare di questi Baustelle (e vorremmo crederle, Nostro Signore Iddio onnipotente solo sa quanto vorremmo crederle), che Montepulciano lo conosce solo perché era scritto sull'etichetta del vino che stava bevendo l'altra sera insieme a quel bel ragazzo che vediamo immortalato con lei dai paparazzi quando poi alle tre di notte, appena vagamente smaltita la famosa "ciucca memorabile da rosso corposo del Valdarno" e ritrovatisi, senza sapere come, spogli come mamma li ha fatti, lei aveva dovuto riaccompagnarlo a casa caricandoselo in groppa, alla faccia della cavalleria e del maschio di una volta.
In effetti, la cara Natasha, a differenza dell'altezzoso menestrello toscano (scusate, avremmo dovuto dire "artista"), almeno ci mette la faccia (e non solo quella, diciamo che ci mette anche tutto il resto) e non lascia parlare per sé un'anoressica bruttina appena uscita dal parrucchiere di Liam Gallagher, con il cespuglietto poco curato e pure affetta da un (nemmeno troppo) leggero strabismo. Ma i punti di contatto (per usare un eufemismo — AlBano avrebbe gridato al plagio per molto meno) restano e sono evidenti: la scelta del bianco e nero, la composizione, l'improbabile concetto, il tentativo di mettere in discussione l'antico monito dei nostri saggi («homo homini lupus») con una meta-citazione da Giuseppe Bertolucci del tipo: «O la donna?».
Non basta quindi aver la pazienza di aspettare che cali la luna per veder quel cane selvatico (scusate, avremmo dovuto dire "mammifero placentato appartenente alla famiglia dei canidi") tornar uomo (anche questa idea, siamo costretti a pensare, solo lontanaamente farina del suo sacco, ma probabilmente figlia dalla collaborazione con Beck per la colonna sonora di Twilight — gli esperti del settore sapranno sicuramente illuminarvi meglio di noi riguardo al dualismo tra vampiri e lupi mannari che si perde nella notte dei tempi) per potersi dichiarare originali ed evitare a un così potenzialmente valido disco — che avrebbe potuto definirsi semplicemente bello — di risultare tale e quale il libro, ovvero presuntuoso, sopravvalutato e tristemente volgare. Scusate, come recita la quarta di copertina, avremmo dovuto dire "lirico, spietato e sfacciatamente contemporaneo".