La nuova frontiera delle classifiche di fine anno: retrospettive in avanti per una follia figlia di questa irrimediabile crisi d'astitenza dal futuro.
23 Dicembre 2014
C'era un mio amico giornalista sportivo che, ogni volta che il suo caporedattore gli ribadiva che per un cronista l'importante è essere sempre sul pezzo, lui non mancava mai di rispondere: va bene, ma senza esagerare. Perché, diceva, esiste una soglia superata la quale sei troppo sul pezzo.
E quando sei troppo sul pezzo è meglio se smetti di scrivere di calcio e vai a giocare la schedina.
Lì c'era tutta un'accorata, sottile, sinceramente preoccupata e inutilmente preveggente critica a quello che sarebbe diventato quel mondo di lì a poco: il raccontare le cose ucciso dallo storytelling, lo scoop a tutti i costi e soprattutto al costo (gratuito ma deleterio) di sparare cazzate, l'arrivare primi che vince sull'arrivare al traguardo (ovvero in altri termini il vecchio trucco da bambini viziati di spostare il traguardo stesso un bel po' di metri prima).
Un'altra storia, insomma.
Infatti ora il mio amico è stato licenziato e ha messo su una piccola azienda agricola che produce un ottimo miele, mentre nella vita (ir)reale basta scrivere è morto Bob Dylan su Facebook per ritrovarselo dopo due ore su repubblica.it, e pure alla TV, in occasione di un servizio sul naufragio della Costa Concordia, per far prima, mandano in onda qualche spezzone di Titanic. Quello del 1953.
Un'altra storia, appunto.
Però il concetto alla base di quella battuta era importante, non dimentichiamocelo.
Io ve lo dico: il presente è sopravvalutato.
E soprattutto è cosa rara, tempo verbale in disuso e condizione mentale in via di estinzione. Come il panda gigante, ma meno coccoloso. Il presente è vecchio ma purtroppo per lui non ancora vintage, un anziano abbandonato al supermercato in un mondo in cui ormai tutto traslato: il futuro è già qui e si chiama passato e parlare di domani vuol dir parlare di doMAI.
Così, mentre a Pitti Uomo presentano le collezioni autunno-inverno 2015/16 quando ancora deve arrivare questo, di inverni (ho visto gente a mezze maniche sul Ponte Vecchio e prosperose pin-up a abbronzate dal calore delle navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione), anche le classifiche dei migliori dischi dell'anno fanno fuori senza tanti complimenti un mese intero ed escono a fine novembre.
E allora per Natale non rimane che inventarsi un listone potenziale proiettato oltre, una chart speculativa su ciò che potrebbe succedere, o che verosimilmente succederà se, come dicono i complottisti di razza, già tutto è deciso, una proiezione più futurista che futuribile non tanto di quello che ci aspetta, quanto di quello che ci aspettiamo: la classifica degli album più attesi dell'anno nuovo.
Ben coscienti, s'intende, che il prossimo passo è recensirli senza averli ancora ascoltati: ovvero, per sentito dire.
Quindi, per rimanere appunto sul pezzo, e chiudere in maniera ciclica questa dissertazione surreale, vorrei farvi tanti auguri di buona Pasqua, commentare le avvenute dimissioni di Napolitano o l'eliminazione della Juve ai quarti di Champions League. Davvero.
Ma son troppo occupato a scervellarmi su chi possa essere quel visionario così indie che aspetta con più ansia il nuovo album delle Sleater-Kinney invece che quello dei Radiohead.