Chiamiamolo un sogno quasi erotico di mezzo autunno. Una storia d'amore tra due giovani pesantemente ostacolata dal bipolarismo estremizzato dei luoghi comuni.
24 Ottobre 2006
Il nostro Romeo facciamo che si chiama Pablo. È un giovane comunista abbastanza annacquato a livello ideologico ma radicalissimo per tutto quello che riguarda le cose che non contano un cazzo. In altri termini, è quello che, nell'immaginario collettivo, veste solo con roba equa e solidale, che non beve Coca-cola, che alla TV guarda solo ed esclusivamente RAI3. Di quelli, insomma, che non si perdono un concerto dei Modena City Ramblers e della Bandabardò. Di quelli che sì, magari ascoltano anche Danilele Silvestri, ma solo Cohiba, e che ritengono la musica internazionale dolorosamente riassunta in Manu Chao.
La nostra Giulietta invece, facciamo che si chiama Jessica. È ciò che potremmo definire una ragazza di destra, di quelle che suo padre è un pezzo grosso dell'Arma e che se le chiedi perché è di destra non sa bene dirti i motivi, ma va bene così.
Mettiamoci ora nel mezzo un problema, drammaturgicamente riassumibile con il concetto di "Shakespeare ai tempi del bipolarismo": Pablo si innamora di Jessica. E, addirittura, viceversa.
Come potrebbe essere andata? Così.
I due si incontrano alla Feltrinelli. D'altronde Pablo, in quanto comunista, compra solo alla Feltrinelli, mentre Jessica, essendo di destra, va un po' — quando ci va — nella prima libreria che le capita. Lui sta cercando la biografia di Ian Curtis, perché giusto ieri ha scoperto che c'è un mondo, dietro al poncho di Manu Chao. Lei sta guardando la copertina di un libro di Pasolini.
Pablo tenta un approccio di sinistra, ovvero — per definizione — poco efficace:
Jessica si prepara ad affrontare il dibattito con una risposta di destra, ovvero — per definizione — praticamente priva di relazione con la domanda:
Pablo finge di non aver sentito, perché l'amore è cieco e quando vuole anche sordo:
Jessica capisce subito, ed è qui che Pablo capisce che è proprio la donna che fa per lui:
Poi tenta comunque di argomentare:
Pablo, che quando si tratta di tavole rotonde e riunioni di partito le sa tutte:
Gli occhi di Jessica vagano in cerca di conferme:
A questo punto lui non ha più dubbi: è lei la sua lei. Soprattutto perché lo solleva dall'onere di fare il primo passo:
Fissano l'appuntamento e una settimana dopo (ma qualche secondo nella mia profonda fase REM) si ritrovano dentro il palasport semivuoto sede del meeting: la Mambro e Fioravanti ancora non si sono visti. Pablo pensa che, visti i precedenti, è meglio così. Jessica lo chiama e lo trascina dietro le quinte dove si lanciano un rapporto sessuale memorabile, nelle due o tre posizioni più consone ai luoghi angusti e nascosti.
Sul palco sta parlando (anche se sarebbe meglio dire "borbottando i suoi malefizi") Don Baget Bozzo: dice che Dio (quello cattolico) è l'unico dio dell'universo. Dio, in incognito tra gli astanti, se la ride sotto i baffi, pensando a quanto gli piace travestirsi — pensa: «Da ora in poi, chiamatemi Lola, con vostro sommo sbigottimento.»
In quel preciso istante, Pablo è sicuro che l'unico dio dell'universo sia il culo di Jessica, nonostante sulla natica destra campeggi, littoria, la faccia di Paolo di Canio tatuata male.
Ecco, scrivetemi se avete il coraggio di immaginare come sarebbe potuta finire questa storia.
Perché io (grazie a Dio Lola) è a questo punto che mi sono svegliato. Tutto sudato, stordito, in silenzio, realizzando improvvisamente che quella — per quanto incoscia — poteva rivelarsi la prima volta che dubitavo del socialismo.