Sauve qui peut

Sauve qui peut

C'era una volta il cinema. Poi cosa è successo? Dove stiamo andando a finire? Va bene il progresso, ma sono solo io a sentire tutta questa puzza di bruciato?

20 Settembre 2006

Per chi è nato e cresciuto in modo sostanzialmente analogico, è comprensibile il continuo stupore di fronte ai cambiamenti che le tecnologie binarie stanno apportando ai nostri tempi e modi di vivere. Non sono fra questi, ma se mi fermo un attimo a pensare (per fortuna non accade così spesso) devo ammettere che chattare ogni mattina a colazione con la fidanzatina olandese (è un esempio, lungi da me!) o consevare l'intera discografia dei Pavement in un pacchetto di sigarette chiamato iPod (questa invece è la verità, sigh!) è qualcosa che a tratti (soprattutto quando mi rivedo nel 1993 con la cassetta di Vs. in una mano e la VHS di Singles nell'altra) trattiene ancora il sapore della magia e dell'impossibile.

Ma il peggio deve ancora venire.

Quel lurido clerk

Per capirsi, parliamo di film. La notizia del giorno è che la sala rischia di diventare non più sinonimo di "cinema". A quanto pare — in breve — sarà solo una delle tante possibili destinazioni dei film e magari vedrà pure mutate le sue caratteristiche naturali di fruizione, sempre per colpa o per merito del nuovo che avanza. Al cinema, per esempio, si potrà andare con l'iPod di cui sopra, eliminando la colonna sonora originale del film per ascoltare qualcosa di diverso.

È questo un possibile orizzonte aperto da un esperimento di Kevin Smith, regista di Clerks 2, il sequel (sono prevenuto e lo ammetto: non sarà mai all'altezza) del leggendario cult-movie del 1994. Il fenomeno in questione infatti, come promozione per il suo gioiellino, ha deciso di registrare un commento al film e di renderlo disponibile in versione podcast online (sul sito ufficiale e su iTunes): l'utente si collega in rete, scarica il file, lo inserisce sul suo iPod e quindi si accomoda al cinema, vedendo il film e ascoltando in cuffia il commento di Smith.

Vagamente inquietante, messa così.

Ci mancherebbe, sono aperto a tutto (quasi) e (per una volta) capisco pure me stesso che mi sussurra «È il progresso, fratello» (fratello lo dirai a tua sorella, chiusa parentesi), ma quello che mi fa effetto non è tanto il lato innovativo dell'iniziativa, quanto il suo inserirsi in quel processo di mutazione a cui le tecnologie digitali stanno sottoponendo il cinema, diciamo, tradizionale. Non mi spaventa il salto in avanti, ma il fatto che si sconfini in un campo minato, ovvero quello delle emozioni, andando a toccare un qualcosa a cui si dovrebbe avvicinarsi quantomeno con delicatezza, e cioè l'esperienza diretta dello spettatore, il suo vivere il film. Perché il problema è che, parlando di cinema, ci sono due possibili livelli di intervento: quello tecnico, e qui ben venga l'innovazione (nell'ultimo secolo ne abbiamo viste di tutte e di più), e quello più intimo e personale, della visione in sala, del rapporto occhi-schermo, dove — dagli anni Trenta a oggi — , a parte il passaggio dal muto al sonoro e l'avvento dell'aria condizionata, non è cambiato — per fortuna — granché.

Ecco, è da quel lato lì, che sento puzza di bruciato.

Salto di montaggio

A Parigi, in zona Montmartre, proprio in cima a Rue Lepic, vicino all'incrocio tra Rue de la Mire e Rue Ravignan, vivacchiano due clochard: sono conosciuti e ben voluti da tutti nel quartiere, dormono su un mucchio di pellicole 35mm dismesse come un groviglio di serpi vicino a un cassonetto e passano le serate a proiettare immagini mute sul muro della casa di fronte. Il loro caso è balzato agli onori della cronaca negli ultimi giorni, ovvero da quando (leggiamo su Le Figaro), hanno iniziato a piangere.

Racconta Dominque Dufayel, fruttivendolo in Rue d'Orchampt, che è successo così, all'improvviso: una mattina quello più alto ha iniziato a singhiozzare e meno di un minuto dopo anche l'altro lo ha imitato. Non hanno più smesso. Il medico volontario che li segue, Joseph Auvray, sostiene che di questo passo non arriveranno a fine mese, causa disidratazione.

C'è chi dice siano fratelli. C'è chi dice abbiano più di cento anni. Si chiamano Louis e Auguste Lumière.

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