I Soulwax e il loro album di remix, quello con quel titolo lunghissimo che bisongna prendere fiato per dirlo tutto e che potrebbe creare non pochi problemi nella vita reale. Un caso di studio.
19 Ottobre 2007
Ci son gente che non c'han fantasia per i titoli. E allora quella gente lì quando fa un disco poi ci mette per titolo il nome del gruppo o al massimo il titolo di una canzone che sta dentro l'album.
Ci son gente che non c'ha tempo da perdere. E allora quella gente lì per mettere un titolo a un disco prende una parola a caso, anche priva di senso ma possibilmente corta, al massimo due — sempre corte ci mancherebbe — al limite forse tre, ma ancora più corte, o anche di più, cortissime però.
Ci son gente che addirittura il titolo non ce lo mette e dice fate un po' voi, estremizzando così il concetto matematico di "limite per lunghezza del titolo che tende a zero". O, in altri termini, per dirla con Nunziato, parrucchiere uomo/donna — nel senso che non si capiva se era un uomo o una donna — di Pietra Ligure, specializzato in tagli a zero alla Sinead O'Connor: «Le cose, a forza di accorciarle, finisce che spariscono».
E poi invece ci son gente che il titolo ci tengono. E allora quella gente lì il titolo bisogna che spieghi bene le cose che dia un'idea precisa del contenuto dell'album che alla fine i fan devon sapere quel che vanno a comprare che si sa a non informarsi bene le brutte sorprese son dietro l'angolo.
D'altronde, «Mai prender le cose a scatola chiusa», come bestemmiò Long John Silver quando non riusciva ad aprire lo scrigno in quello splendido esempio di antenato della Guida Michelin che è L'isola del tesoro di Robert Louis Stevenson.
Solo che alle volte esagerano, quella gente lì. Tipo.
Io son dieci giorni che mi sto esercitando: la mattina memoria, la sera respirazione («Most of the remixes we've...»). Che le commesse bisogna cercare di non metterle in difficoltà e farle lavorare al meglio («.. made over the years except for the one...»). Che poi a chiedere così a cuor leggero «Signorina, ce l'avete l'ultimo dei Soulwax?» si finisce subito in quelle situazioni incresciose che nella peggiore delle ipotesi ti senti rispondere «Chi? No, noi jazz, soul e blues non li teniamo.» («... a few we really love, one we think is just ok...») e nella migliore ti ritrovi tra le mani Nite Versions (come cavolo si legge Einstürzende Neubauten?) e allora poi vai a spiegarglielo te che Nite Versions ce l'hai già. Che Nite Versions è del 2004 e che a te ti pare pure un'offesa alla concezione di tempo quella di chiamare un disco del 2004 "l'ultimo" e che non ti permetteresti mai te di chiamare un disco del 2004 "l'ultimo" («... because we lost it and a few we didn't think sounded good enough or just didn't fit in length-wise but including some...»), che lo sai te, caro utente catalogo, quanti dischi saranno usciti nel mondo dal 2004 ad oggi? Te lo dico io: millemila, ne saranno usciti. Figurarsi.
E mi pare chiaro così che bisogna esser precisi con le commesse («... that are hard to find because either people forgot about them or just simply because they haven't been released yet...»), precisi tassonomici e nozionistici, di precisione estrema c'è bisogno con le commesse («... some we did for free, some we did for money...). Allora son qua da dieci giorni che mi esercito: la mattina memoria, la sera respirazione («Ein Einstrunz Einthestorm and the New Bath...» maledetti crucchi).
Che quando verrà il momento ci sarà bisogno di infilare una parola dietro l'altra senza esitazioni e pure tutte d'un fiato («... some just for ourselves without permission and some for friends as swaps but never on time and always at our studio in Ghent»).
Che io c'ho una reputazione da difendere. Capirai anche te, caro utente remixato. Ci mancherebbe.
Mica posso andar per negozi di dischi a far figure di merda, io.