Piccoli imprenditori crescono. Come il nostro Arsenio, lui si che aveva capito cosa farci, con tutta quella fracca di lucchetti attaccata al Ponte Milvio come un vespaio. A proposito: collaboratori cercasi.
28 Maggio 2007
Oggigiorno, la parola chiave nel mercato del lavoro è "flessibilità". E allora sentite questa. La sapete la storia di Arsenio? Lui sì che era una che si era fatto da solo. Mica come quegli imprenditori di Milano che si son fatti da soli coi soldi di papà o del partito socialista. Via, non fatemi parlare.
Arsenio Cagneschi di mestiere pescava. È stato cinquant'anni in quella baracca vicino al fiume, un paio di chilometri sotto al ponte, in direzione della corrente. Gettava la rete in acqua la mattina tardi e aspettava come sapeva fare solo lui (che si sa: anche per aspettare bene ci vuole un talento naturale, come dice sempre Klajdi, il barbone albanese, quello che vive sotto la pensilina della fermata dell'ATAC). Poi la sera la tirava a riva e faceva i suoi conti: separava i pesci dai rami secchi, dalla borse di plastica e dai brick dell'Estathé e si preparava per il mercato.
Che Arsenio Cagneschi c'aveva un banchino, al mercato di Tor Paterno, e la mattina presto andava a vendere il pesce e ci prendeva quei due soldi che gli bastavano per campare.
Così differenziava la sua proposta da quella di tutti i colleghi della riviera ostiense, che vendevano i soliti branzini, le solite orate, i soliti dentici, i soliti gamberoni: il solito fritto misto fritto e rifritto, insomma.
Quando iniziò a trovare le prime chiavi in mezzo ai cavedani, si incazzò non poco, Arsenio Cagneschi, che diceva che va bene l'inquinamento, ma di questo passo questo povero mondo lo stiamo ammazzando e che se si continuava così poi i pesci gli sapevan di ruggine.
Fin quando non ha capito il trucco, Arsenio Cagneschi, e ora tutte le sere, dopo aver ritirato le reti, prende una boccia di Svitol, sale su al ponte e prova, prova e riprova finché non sente quel "click" che gli dice che è sulla strada giusta. La strada per il successo. Il successo nel mondo estremamente competitivo della ferramenta riciclata.
Che saran tre mesi che ha messo su un negozio di mesticheria in centro, Arsenio Cagneschi: s'è "riqualificato", direbbero quelli che insegnano materie dai nomi bruttissimi come "marketing" o "business" nelle scuole. Fatto sta che vende lucchetti usati ma perfettamente funzionanti a prezzi concorrenziali.
Come sta andando? Bene direi. È ricco sfondato e valuta di aprire altre sedi all'estero: cerca collaboratori in Francia, che lavorino al Pont des Artes di Parigi, in Germania per l'Hohenzollernbrücke di Colonia, in Serbia per il Most Ljubavi di Vrnjačka Banja, in Polonia per il Kładka Bernatka di Cracovia, in Slovenia per il Mesarski Most di Lubiana, in Austria per il Makartsteg di Salisburgo, in Olanda per lo Staalmeestersbrug di Amsterdam, nella lontana madre Russia per il Luzhkov Most di Mosca, oltre l'oceano per il Valley Wine Train Love Lock Bridge di Napa in California e anche là dove non c'è il mare (che tanto si sa che per un ponte basta un fiume, un torrente o anche solo una ferrovia che ci passa sotto — mica come da noi, che vorrebbero far un ponte sullo stretto di Messina), in Cecoslovacchia per quel vecchissimo ponticello con la ruota sulla Čertovka, a Praga. Che più son stupide più prendon piede ovunque, le usanze incoscienti.
Insomma, se conoscete qualcuno che potrebbe essere interessato a un lavoro part-time estremamente redditizio, da quelle parti, fate un fischio ad Arsenio. I colloqui si tengono tutti i mercoledì dispari dei mesi pari ma solo se divisibili per quattro (sarebbero i giorni che non c'è il lavaggio strade, secondo la logica intricata della polizia municipale capitolina), la mattina presto sotto l'arco del Ponte Milvio a Roma. Non serve il curriculum cartaceo, si tratta di due chiacchiere col Cagneschi ("due" nel vero senso della parola: è un tipo di poche parole, l'Arsenio) e di una selettivissima prova pratica: ricordatevi solo di portare il vostro sbloccatante istantaneo per meccaniche incrostate preferito, perché quello è carico del candidato.
Giusto un minimo di contesto. Siamo nel 2006. Esattamente l'8 febbraio. Poco dopo la mezzanotte, in una Ponte Milvio deserta, Federico Moccia - quello che poi sarà l'autore del libro più brutto e più venduto di sempre, Tre metri sopra il cielo - lascia un lucchetto al terzo palo. Proprio come nel libro. «Avevo paura che, essendo uscito da poco il libro, qualche lettore andasse a Ponte Milvio e non trovasse nemmeno un lucchetto.» — Dopo poche settimane il ponte era pieno di lucchetti. Ora Ponte Milvio pare il teatro di un vespaio di metallo incatenato, e la cosa ha preso piede anche nel resto del mondo. O forse è stato il contrario? Che nel resto del mondo c'eran già e il buon Moccia ha solo preso spunto? Comunque sia andata, sarebbe una roba che poi l'han chiamata "guerrilla marketing", io la chiamo "effetto pecora" e continuo a chiedermi dove andremo a finire di questo passo.
Questo è il primo episodio della causticissima trilogia del Ponte Milvio, liberamete ispirata all'opera di Federico Moccia. Nel senso che ne abbiamo preso spunto per ricordarci cosa non si deve fare, quando ci si mette a scrivere qualcosa. Qui e qui trovate gli altri due.