Il vecchio Girolamo e la sua nemesi, il cavalier Fabbroni. Ma soprattutto l'intuizione di Marchino riguardo alla vitale importanza di una lunga serie di piccole gioie da niente.
20 Maggio 2007
Che poi alla fine s'era detto che io non volevo star qui a parlare nemmeno di Patrizio, e figurarsi del dottor Di Virgilio: solo che al Pianello ce n'era così tanta, di gente strana in tre case anzi quattro con la Casa del Popolo, che uno a raccontarle tutte poi ci perde il filo del discorso. E allora è un casino: come quello che un giorno lo perse e non lo ritrovava più, finché la sera scoprì che ci stava giocando il gatto, col filo del discorso. Ma insomma.
È che io ero partito con l'idea star qui a parlare del vecchio Girolamo e del giovane Marchino, che mi pareva una storia bella, o quantomeno buffa, quella di questi due qua. Mica della Cinzia e di Patrizio, che anche loro eran ben strani comunque, questo va detto.
Allora, si diceva. Il vecchio Girolamo Vergassi.
Pensa te, caro utente smemorato: da quanto mi pareva buffa questa storia, mi ricordo pure il cognome, del vecchio Girolamo. Che se «i nomi son puri accidenti», come diceva il Manzoni Sandrino, «i cognomi son puri incidenti», come sosteneva filosofeggiando il Gilandri Massimo, impiegato storico dell'archivio iscritti alla RAS Assicurazioni di Riomaggiore. Riomaggiore è un posto con le stradine così strette che il Pandino ce lo raschi sicuro contro il muro, o peggio ancora un frontale dietro una curva cieca è quasi matematico, visto che due macchine in senso contrario mica ci passano, nelle stradine di Riomaggiore. Un paradiso degli assicuratori, Riomaggiore, fidatevi. E comunque, in generale «we are accidents waiting to happen», come ci ricorda Thom Yorke — sempre sia lodato — alla faccia del Manzoni e del Gilandri, senza offesa per nessuno dei due, eh.
Il vecchio Girolamo Vergassi era così vecchio che al Pianello ormai non si ricordavano più quanti anni aveva. Che — e questo s'è già detto — l'istruzione media da quelle parti era ferma alla quarta elementare e i più eran convinti che dopo il 100 si ricominciasse daccapo. A contare, dico. A parte Peppe detto Apro? (col punto interrogativo, sì), che lui di lavoro giocava a scala quaranta — alla Casa del Popolo, s'intende — e quindi s'era fermato al 42:
Rispondeva a chi si stupiva di quel paio di numeri in eccesso rispetto al valore minimo che il suo mestiere gli richiedeva.
Insomma il vecchio Girolamo Vergassi era così vecchio che nessuno sapeva dire quanto e conseguentemente anche discretamente poco lucido di testa. Che son cose, queste, che a quanto pare a diventar vecchi succedono, anche se al Pianello uno se ne accorgeva meno: «Grullo in mezzo ai grulli Nanni sembrava normale», diceva — sempre in Si minore — Renato, il menestrello del paese, laureato in fisarmonica. Alla Casa del Popolo s'intende. Nanni invece non s'è mai capito chi fosse: un personaggio della sua fantasia, credo. Della fantasia di Renato, dico, che ce n'erano un sacco — duecentododici, si narra — di personaggi, nella fantasia di Renato.
Stava quasi sempre in casa, seduto sulla sedia a dondolo e faceva addirittura fatica a leggere, il vecchio Girolamo. Che già ci vedeva poco, poi tutto quel dondolare: pensa te, caro utente traghetto. Era per questo che Marchino andava tutti i giorni a leggergli la Gazzetta di Massa e Carrara.
Marchino al Pianello lo chiamavan Marchino fin da quando era alto così, e non hanno più smesso anche dopo che era diventato uno e novantacinque e giocava a pallacanestro nel Sarzana Basket. Questa, vista dall'esterno, era un'incongruenza atroce, ma da quelle parti non ci facevan caso. D'altra parte che son strani s'è detto, da quelle parti, in quelle tre case, anzi quattro, se si vuol contare anche la Casa del Popolo che, a ben vedere, come casa, è sul serio la più strana di tutte.
Marchino era il figliolo della Silvana, la barista (della Casa del Popolo, mi pare chiaro), poi chissà. "Chissà" nel senso che chi fosse il padre non s'era mai capito e, a sentir lei, non se lo ricordava nemmeno la Silvana stessa, che sull'argomento sbuffava tatticamente adducendo argomentazioni da CGIL del tipo:
Così Marchino era cresciuto a tappe tra il bancone del bar (che se lo ricordano ancora tutti là al Pianello, di quando ci camminava sopra a quattro zampe che ancora non sapeva parlare), la stanza del biliardo (fattelo raccontare da Memento, caro utente cantastorie, di quella volta che lo trovarono — a Marchino dico — che provava ad andare sui trampoli con le stecche) e la sala giochi (che a lui gli piaceva da matti giocare a calcino, fin dai tempi in cui ancora non arrivava alle manopole, che gli toccava di mettersi in piedi su un fusto di birra Peroni alla spina per riuscire a vedere gli omini colorati che facevano le capriole e la pallina che rimbalzava qua e là come fosse matta).
Marchino aveva imparato a leggere iniziando dal cartellone dei gelati della Sammontana. Le prime parole che era riuscito a dire erano state "Coppa d'oro", le ultime — le più difficili, non si può negare — "Granulato all'amarena". Anche se i suoi preferiti rimanevano sempre i quattro loschi figuri della banda dei ghiaccioli: Genghis Cola, Jack Lemon, Marenito e Verde Menta. Poi era passato al listino prezzi attaccato al muro (quello con le lettere mobili di plastica colorata e il fondo di panno morbido nero) e alla fine se la cavava abbastanza bene anche con la Gazzetta dello Sport, che i vecchi la sera lasciavano incustodita e mezza spiegazzata (esclusa l'ultima pagina, dove si parlava in genere di pattinaggio o rugby e che quindi non leggeva mai nessuno) sullo sportello superiore del banco frigo.
Era per questo che andava lui, a leggere il giornale al vecchio Girolamo. O meglio, a voler essere pignoli — ma che rimanga fra noi, eh, caro utente spifferaio magico — non era solo quello il motivo. È che tutte le mattine c'era sua madre — la Silvana appunto — che gli ripeteva la stessa solfa:
Questa, almeno, era la scusa ufficiale, anche perché che il Vergassi era il nonno, del piccolo Marchino, lo sapeva solo lei.
Sia come sia, era finita che ci s'era pure affezionato, Marchino al vecchio Girolamo, proprio come si fa con un nonno anche se non si sa che è lui. Ma così affezionato che gli era venuta quasi spontanea, quella di inventarsi la storia delle "notizie su misura", come gli piaceva di chiamarle a lui.
Va detto infatti che il vecchio (solo Dio sa quant'era vecchio) Girolamo Vergassi odiava da sempre il cavalier Fabbroni, che altri non era se non il proprietario della villa, quella su in cima alla salita, quella che c'eran sempre i lavori da trent'anni a questa parte. Che anche il cavaliere — come il professor Di Virgilio che non era propriamente professore — mica era cavaliere sul serio: mai stato su un cavallo in vita sua, il cavaliere. Solo che voleva lo chiamassero così «perché in questo modo si capisce meglio che son pieno di soldi e le donne cadon tutte ai miei piedi», diceva il cavaliere, che c'avrà avuto ottantacinque anni anche ottantasei — pensa te, caro utente donnaiolo.
Non si sa bene quale fosse il motivo di tutto quell'odio che il Vergassi nutriva per il Fabbroni dalla notte dei tempi: c'è chi dice che era per quella volta che il cavaliere aveva espropriato a Girolamo il suo piccolo campo di muschi e licheni freschi per farci passare sopra il ponte sullo stretto delle Apuane, da Podenzana a Montedivalli. Oppure chi invece assicura che il problema stava nelle voci che si erano sparse di una presunta tresca del Fabbroni con la Pina (pace all'anima sua), che era (sfortuna volle) la moglie di Girolamo e — ai tempi, contemporaneamente — anche la cameriera del cavaliere. Chissà. D'altra parte, quando si parla del vecchio Girolamo Vergassi, si parla di cose così vecchie che si va a finire talmente in là nel tempo che la gente non si ricorda mica più tanto bene.
Insomma. Eh, andava detta questa cosa, perché è proprio da qui che aveva preso spunto il nostro Marchino per mettere in atto quel suo piano delle notizie su misura: che era semplicissimo, a ben vedere, ma a suo modo geniale.
In pratica il concetto era questo: per rendere le cose che leggeva sul giornale meno noiose e dare un po' di gioia al povero anziano costretto a stare praticamente sempre in casa, Marchino aggiustava gli articoli a suo piacimento.
Ad esempio, leggeva che in via Fogana un signore era stato borseggiato alle nove di mattina, ma raccontava che l'onorevole cavalier Aristide Fabbroni era stato borseggiato in via di Fagna proprio ieri mattina alle nove esatte. E Girolamo, contentissimo, diceva «Oh, questa è prorpio una bella notizia!», e sorrideva con quelle sue gengive smarrite.
Oppure vedeva in un trafiletto che un tizio qualsiasi era finito accidentalmente sotto un tram davanti alla Coop giù in città e leggeva ad alta voce: «Alle 16 in punto, ieri pomeriggio, l'ingegner cavalier Fabbroni Aristide, molto disgraziatamente ma non troppo, è finito sotto un tram rompendosi entrambe le gambe e forse anche una spalla e c'è chi dice anche due unghie. Nella concitazione dell'accaduto l'onorevole ha pure perso il borsellino con dentro diecimila lire.» — e il Vergassi, dondolando più velocemente la sedia: «Son proprio contento, si vede che c'è una giustizia a questo mondo!»
Questa era l'idea, insomma. Ma il colpo di genio di Marchino, la ciliegina sulla torta o, come amava chiamarla lui "la spondina di rinterzo" (che per Marchino, fregare l'avversario a calcino con una spondina di rinterzo era, che ne so, come fare un gol da centrocampo in serie A, come una volèe in tuffo a Wimbledon, come il quattro sponde irragionevole, effetto a rientrare, che azzeccò il monco nel retro del caffè di Verdun, poco prima di mezzogiorno, il 16 giugno del 1871, ovvero il giorno che Baldabiou, come promesso, se ne andò) fu quello che mise in atto dopo, quando il cavalier Fabbroni morì sul serio soffocato dall'oliva di un Martini dry aromatizzato alla salvia.
Ecco. Marchino mica glielo disse al vecchio Girolamo che il cavaliere se ne era andato all'altro mondo. Ci pensò su un attimo, torturando gli angoli del Gazzettino con l'indice e il medio e poi lesse che:
Proprio ieri sera, durante un festino a base di alcol, droga e transessuali su alla villa, il puttanier cavalier Aristide Fabbroni per poco non ci rimaneva secco, a tossire per colpa di un oliva, e tossisci tossisci tossisci, gli era pure caduto i parrucchino, molto disgraziatamente ma non troppo, in mezzo all'ilarità generale.
Che c'aveva messo un attimo (proprio quell'attimo lì di cui si parlava prima), Marchino, a capire che tra una gioia fortissima e improvvisa, ma soprattutto unica, e una serie di piccole gioie da niente, minuscoli regali giornalieri senza importanza, non c'è partita. Che un'emozione improvvisa, per quanto forte e bella, finisce lì, mentre serbarsi un po' di contentezza per i giorni che verranno è sempre una buona idea, anche se quasi mai realizzabile. Che tanti brevi momenti di felicità distribuiti negli anni finisce pure che ti allungano la vita, al contrario di tutta quell'ubriacatura insieme, che se se c'hai una certa età e sei debole di cuore ci sta pure che ti prende un colpo.
Dev'essere per quello che il vecchio Girolamo Vergassi è così vecchio. Dev'essere per questa intuizione qua che gli ha regalato Marchino. Anche al prezzo di dover tornare tutti i giorni al Pianello a inventarsi storie impossibile sul cavalier Fabbroni che inciampa mentre è in fila alle Poste e si rompe l'osso del collo, quando invece quello se ne sta da sei anni, buono buono, sottoterra nella cappella di famiglia su alla villa.
Ma son cose che per tuo nonno le fai. E le fai pure volentieri. Anche se non sai che è tuo nonno.