Una roba di architettura artistoide ed ecomostri mischiata con una roba di autostrade e lavatrici: la storia di Lanzavecchia e di quella volta che partì con Guastelli. Oh, ancora non son mica tornati!
9 Ottobre 2009
Dice Lanzavecchia che vicino Genova c'è una roba che se uno ci pensa non ci può credere. Dice (Lanzavecchia, dico) che c'è un complesso edilizio, vicino Genova.
"Complesso" nel senso complicato, dice Lanzavecchia. Complicato nel senso che non si capisce come uno che di mestiere fa l'architetto gli possa esser venuto in mente di tirar su una roba del genere, dice. A meno che non fosse un architetto con la mania della pulizia, dice Lanzavecchia. Dice che si chiama mysofobia, Lanzavecchia, quella cosa lì, quell'ossessione, quella paura di contaminazione da batteri, germi e cose così.
Me, Mysofobia, mi pare più il nome di un gruppo darkwave-gothelectrocore di Baden-Baden, ma tant'è: figuriamoci se mi permetto di contraddire Lanzavecchia, io — ne sa a pacchi Lanzavecchia, figuriamoci.
Dice insomma Lanzavecchia che questo complesso complicato sta vicino Genova, sulla collina che sta giusto sopra l'Autostrada dei Fiori, che anche quella secondo me andrebbe chiamata l'Autostrada dei Cavalcavia, quella che passa da Genova e si fa tutta la Liguria fino in Francia — che sarebbe un paese in provincia di Ventimiglia, la Francia, lo dico per gli ignoranti, s'intende — o al limite Autostrada delle Raffiche di Vento Laterali: fiori un cazzo mi verrebbe da dire a me, ma figuriamoci se mi permetto di contraddire Lanzavecchia. Se dice Autostrada dei Fiori allora vuol dire che si chiama Autostrada dei Fiori — ne sa a pacchi Lanzavecchia, figuriamoci se.
Insomma dice lo vedi subito, fuori dal finestrino, se passi di lì.
Che poi ora ci sarebbe da dire una cosa.
Non per giustificarmi, ma queste son quelle cose che paion divagazioni e invece son tutte notizie che servon per capire meglio la psicologia del personaggio, se mi posso permettere per un attimo di usare un linguaggio da critico letterario che ho fin vergogna.
Non che abbia la presunzione di pensare di poter descriver così con due righe un tipo stratificato come Lanzavecchia, uno che ne sa così a pacchi, non mi permetterei mai, sia chiaro — è solo che servon certe informazioni, per andar a fondo di una psiche così intrecciata ed esuberante.
Poi volevo scusarmi ancora di questi termini che uso, nemmeno fossi un illustre italianista come che ne so, Natalino Sapegno, non vorrei mai che uno poi pensa ma vedi questo si crede d'esser Natalino Sapegno e allora mi scuso di nuovo, soprattutto con il Sapegno, Natalino dico.
Però sì, ci sarebbe da dire che Lanzavecchia ha lavorato cinquant'anni alla Camera di Commercio di Albissola Marina. Cinquant'anni seduto, dice Lanzavecchia, fermo immobile dietro un vetro a far le solite quattro cose, a vedere le solite quattro facce, pure brutte, dice Lanzavecchia, senza offesa per nessuno, dice: una roba che o diventi scemo subito, oppure sopporti, sopporti e poi quando arriva la pensione reagisci così.
"Così" sarebbe che Lanzavecchia, il primo giorno che è andato in pensione è partito: «Voglio girare un po' l'Italia», ha detto.
Che Lanzavecchia alla fine è sì uno che ne sa a pacchi, ma è modesto, Lanzavecchia, e allora non se la sentiva mica di dire quello che dicon tutti in questi casi: «Voglio girare un po' il mondo», dicon tutti, in questi casi. E invece Lanzavecchia no, lui dice «Mi accontento anche dell'Italia, che tanto, il mondo già gira da solo», dice Lanzavecchia lui che ne sa a pacchi e allora non vorrete mica che non sia aggiornato sulla teoria copernicana, non vorrete mica che uno come Lanzavecchia sia ancora legato ai pregiudizi tolemaici?
Insomma, dice Lanzavecchia che il mondo lui gira già da solo, che non c'è motivo di girarlo noi: l'Italia invece, quella, dice Lanzavecchia, quella son centocinquant'anni che è ferma lì, atrofizzata come le sue gambe — di Lanzavecchia, dico — sulla seggiolina della Camera di Commercio di Albissola Marina il giorno prima di andare in pensione. Son centocinquant'anni che è lì, dice, e lei sì che andrebbe un po' girata e rigirata, rivoltata come un calzino andrebbe, l'italia, dice Lanzavecchia.
E allora lui quel giorno della pensione cosa ha fatto? Ha preso su un suo amico, un tizio di Albisola Superiore — Guastelli mi pare si chiami, Pino Guastelli di Albisola Superiore sì, credo di non sbagliarmi — e ci ha detto:
Che anche questa è strana, dice Lanzavecchia, che quello di Albissola e Albisola è l'unico caso in Italia che si chiaman diverso, questi paesini siamesi, questi borghi mare & monti che in Italia, dice Lanzavecchia lui che ne sa a pacchi, ce ne son tanti — tipo Castagneto Carducci e Marina di Castagneto, o Rosignano Marittimo e Rosignano Solvay (che quello forse ora che ci penso è pure un esempio un po' fuori luogo, visto che anche loro — i Rosignani, se posso chiamarli così solo per questa volta — son ben strani, visto che Rosignano Marittimo è sul monte mentre quello che è al mare è Rosignano Solvay, ma qui ora si divaga sul serio e c'è bisogno di riportare il discorso sui binari iniziali, come si suol dire, parer mio).
Ce ne son tanti ma si chiaman tutti uguale, dice Lanzavecchia, solo Albissola Marina e Albisola Superiore si chiaman diverso: poco, ma diverso, dice Lanzavecchia. Anche se me mi vien da pensare che alla fine magari una volta si chiamavan uguale pure quelli, solo che, a forza di salir e scender dal monte per andar su e giù al mare qualcuno ha perso una "esse" durante il tragitto. Son cose che succedono direi io, sai com'è: la Storia, la tradizione orale li fan di questi scherzi, mica mi pare il caso di fagliene una colpa, agli abitanti di Albisola, e men che meno a quelli di Albissola, loro che la "esse" ce l'hanno ancora, figurarsi, ma non vorrei andar contro quello che dice Lanzavecchia, che lui ne sa a pacchi.
Pino Guastelli, uno che gli dici cosa fare e lui la fa.
Insomma ha preso il Guastelli, Lanzavecchia dico, e ci ha detto «Andiamo un po' a girar l'Italia: tu guidi, che io c'ho le gambine atrofizzate da cinquant'anni di Camero di Commercio», che è un posto che non san fare nemmeno le sedie comode, dice Lanzavecchia.
"Ergonomia occupazionale" dice si chiama, la scienza che dovrebbe occuparsi di far le sedie comode sul lavoro.
Me Ergonomia Occupazionale mi pare più il nome di una cover band dei CCCP che suonava al circolo ARCI del quartiere Pappagnocca di Reggio nell'Emilia nel '92, ma figuriamoci: se Lanzavecchia dice che invece è una roba per le sedie comode sarà sicuramente così — Lanzavecchia ne sa a pacchi, figuriamoci un po'.
Dice Lanzavecchia, ripensando infastidito e dolorante di sciatica alla Camera di Commercio di Albissola Marina.
Insomma ci ha detto, Lanzavecchia al Guastelli:
Ci ha detto Lanzavecchia al Guastelli, lui (il Guastelli, dico) che è uno che ci dici una cosa e lui la fa senza fiatare, soprattutto se la condisci con un leggero ma deciso turpiloquio mascherato da innocente intercalare.
E così son partiti.
Saran cinque o sei anni ormai: una roba che farci due conti in tasca, a Lanzavecchia, par che ha deciso di sputtanarsi la pensione in benzina, ma che volete, se ha pensato così, lui che ne sa a pacchi, io dico che ha i suoi buoni motivi.
Che poi dico, ci pensi cinque o sei anni a guardar fuori dal finestrino? Quante cose vedi, quanto mondo, quanta Italia, sempre in movimento sempre a rotolare qua e là: un'Italia mai ferma.
Dice Lanzavecchia, lusingandosi a voce alta dell'eccezionalità della cosa.
Ci pensi dico io, quanta roba di corsa fuori dal finestrino? È chiaro che poi ne sai a pacchi.
E allora io dico che c'è da fidarsi, se Lanzavecchia assicura che lassù, proprio lassù che sovrasta dalla collina il tracciato dell'Autostrada dei Fiori, c'è questo centro di rieducazione per mysofobici industrial-goth.
Io non lo so, eh: io ci sarò passato giusto un paio di volte da lì, ed entrambe le volte ero troppo impegnato a tener stretto il volante contro le raffiche di vento laterali che ti portan via, lì sui cavalcavia dell'Autostrada dei Fiori. Fiori un cazzo, dico io — che non lo so, però se lo dice Lanzavecchia ci credo, figuriamoci.
Insomma sì, pare che da quelle parti, se guardi bene sulla collina fuori dal finestrino, ci sia un complesso edilizio ai più noto come Le Lavatrici. L'han chiamato così, dice Lanzavecchia, per via della follia di quell'architetto spaventato dai germi, per via della caratteristica struttura a oblò, tipica del diffuso elettrodomestico, dice Lanzavecchia, che contraddistingue in maniera inconfondibile i balconi di quelle abitazioni incoscienti.
Dice Lanzavecchia che è una roba da matti. Tutti quegli stabili edificati su piani sbalzati esposti verso l'esterno seguendo l'andamento collinare nella discesa verso valle — ascoltalo, come parla Lanzavecchia dopo cinque sei anni a guardar fuori dal finestrino: si sente o no che è uno che ne sa a pacchi? — un nucleo residenziale popolare molto discusso fino dalla sua costruzione a causa di alcuni difetti strutturali che ne hanno reso da subito precaria l'abitabilità, dice Lanzavecchia.
Per forza, dice. Anzi, «Per forza centrifuga», precisa, lui che ne sa a pacchi anche di forze apparenti che vengono percepite solo da un osservatore non inerziale come lui che gira e gira per l'Italia su una Lancia Flavia del '64 guidata dal Guastelli, uno che quello che ci dici lo fa senza fiatare, ma certo non si può dire che sappia mantenere un moto rettilineo costante, ecco. Diciamo che c'ha il piede destro un po' nervoso sul pedale dell'acceleratore e quello sinistro un po' indeciso sulla frizione, il Guastelli, per usare un eufemismo, anzi due.
Comunque. Per forza, dice Lanzavecchia.
Sai che giramento di maroni, viver dentro una lavatrice.