Musulmani ed ebrei confinati in un quartiere, alle prese con basse questioni mediorentiali quotidiane come fare la spesa senza scontentare nessuno e tenere la kippah dritta.
13 Ottobre 2007
Il proprietario del ristorante ebraico accanto alla sinagoga del grande capoluogo parla discontinuo a tratti: una valanga di parole in una lingua mista senza punteggiatura in pochi secondi e poi una pausa di durata variabile. Dipende da quante cose gli passano dentro la testa in quel momento, la pausa dico. E da quanto è instabile l'equilibro che nella nuova posizione ha assunto quella cosa che tiene sopra la testa.
Il proprietario del ristorante ebraico accanto alla sinagoga del grande capoluogo è ebreo. Che sembrerebbe una cosa scontata ma è sempre meglio specificare, specialmente al giorno d'oggi in questa società multiculturale, multirazziale, multirazzista e globalizzata che non ci sarebbe da stupirsi se un ristorante thailandese lo aprisse uno di Canazei — tutta colpa della rivoluzione borghese del diciassettesimo secolo direbbe Max Weber.
E allora in testa, il proprietario del ristorante ebraico accanto alla sinagoga del grande capoluogo, c'ha sempre uno di quei copricapo piccoli piccoli che sembra che una volta erano cappelli seri e poi tua nonna li ha messi in lavatrice a 360° e allora son ritirati. Che io non so come si chiamano di preciso, ma mi son informato e allora mi sa che si chiamano kippah. Il plurale non ne ho idea, quindi facciamo che si chiamano kippah anche al plurale e vediamo di usarli al plurale il meno possibile, così, per sicurezza.
Un nome ridicolo per un aggeggio altrettanto ridicolo, ma queste son cose che meglio non dirgliele, al proprietario del ristorante ebraico accanto alla sinagoga del grande capoluogo.
Insomma ogni volta che fa una pausa si aggiusta la kippah.
Ora non cominciamo a sindacare sul fatto se "kippah" sia un sostantivo maschile o femminile, che questa non è la sede adatta e già abbiam fatto casino col plurale. Me mi pare chiaro che finisce con la "a" e quindi è femminile, kippah, e chi si permette di addurre motivazioni non plausibili come il fatto che c'è quella "h" che rende la scelta più complicata o che anche il Papa finisce con la "a" ma è un maschio io ci tappo la bocca col nastro adesivo.
Ma torniamo a noi. Più che aggiustarla le cambia continuamente posizione, il proprietario del ristorante ebraico accanto alla sinagoga del grande capoluogo alla sua kippah, come fosse la bolla di una pialla, che, in base a quanto muove la testa, quella deve compensare per mantenere un certo equilibrio di forma e sostanza.
Il proprietario del ristorante ebraico accanto alla sinagoga del grande capoluogo assomiglia in maniera inquietante a uno scottish terrier, parla discontinuo a tratti quasi senza punteggiatura e nelle pause tra quei tratti pensa, un po' a quello che sta dicendo, un po' a come aggiustarsi la kippah sulla punta del cranio.
Non ti guarda mai, come ragionasse col vuoto che ha davanti, però sorride sempre. Che uno gli vien da pensare che ci deve essere per forza qualcosa di bello lì vicino e, dirla tutta, è anche un po' frustrante questa sensazione che ti mette addosso il proprietario del ristorante ebraico accanto alla sinagoga del grande capoluogo che intorno c'è qualcosa di meraviglioso che te non ti riesce di vederlo. Ti senti un po' imbecille, dirla con parole mie. Ma tant'è.
Uno soprassiede, che parlare con il proprietario del ristorante ebraico accanto alla sinagoga del grande capoluogo (o quantomento ascoltarlo parlare con quel qualcosa che fa sorridere che non si sa bene cos'è) si finisce sempre per imparare qualcosa di interessante.
Per esempio il proprietario del ristorante ebraico accanto alla sinagoga del grande capoluogo c'ha una teoria tutta sua sulla convivenza con i musulmani. Dice:
Fa un pausa, dà un colpetto con l'indice alla kippah — te sarei io, o forse quel tizio che ha davanti ma che io non riesco a vedere.
Pausa, kippah a sud-sudovest.
Pausa, kippah di nuovo al centro.
Pausa, kippah sul bordo in un equlibrio inspiegabile con le leggi della fisica, almeno quelle che si imparano al liceo — sorride, anche se, a ben vedere, non c'è un cazzo da sorridere.
Pausa, kippah a indicare il nord, come una bussola.
Pausa, kippah sulle ventitrè, come direbbe mia nonna.
Pausa, prende la kippah in mano.
Pausa.
Pausa, si rimette la kippah in testa.
Però l'è maiala.