Albascura

Albascura

So che il vostro cuore nero vi porterà a negare l'evidenza, ma qualcuno doveva pur dirvelo: anche i Joy Division hanno scritto una ballata. Si chiama New Dawn Fades.

14 Giugno 2019

Probabilmente nessun pezzo dei Joy Division mette sul piatto con maggior (in)consapevolezza l'incomparabile e meticolosa inclinazione della band verso una sorta di impeccabile entropia musicale come New Dawn Fades.

Il campione della traccia precedente (Insight), pesantemente effettato ai limiti della riconoscibilità e lasciato a languire in sottofondo in apertura è un colpo basso del produttore Martin Hannett, non richiesto e aggiunto presumibilmente in post-produzione, a confondere le acque ancor prima che le acque stesse prendano la loro forma irrequieta e si arrendano a un'incontrastabile corrente.

Il vortice su cui si regge tutta la traccia è creato ad arte per mezzo delle due forze contrarie generate dal riff ascendente della chitarra di Bernard Sumner che va a cozzare meravigliosamente con quello discendente del basso di Peter Hook. Sono due linee perfettamente parallele disegnate in direzione divergente, che — contro ogni regola geometrica — finiscono per incontrarsi, ma non si salutano, come i tapis-roulant che collegano i due terminal di un aeroporto, o le scale mobili che di tuffano e risorgono dall'inferno di una metropolitana. È il concetto di coppia, che sta alla base di ogni motore, applicato alla (de)forma canzone: in poche battute genera un crescendo di intensità che culmina prima con l'ennesimo disgraziato grido di aiuto di Ian Curtis e poi con l'epilogo di un assolo affogato in un bagno di feedback.

Una ballad

Eppure New Dawn Fades è forse la traccia più melodica di tutta la storia dei Joy Division, ancor più — di gran lunga, alla luce di una semplice analisi armonica — di quella Love Will Tear Us Apart che uscirà postuma per ritrovarsi — suo malgrado — hit da classifica per cuori perennemente e irrimediabilmente infranti.

Se fossimo di fronte a un disco canonico, avrebbe tutti i crismi per candidarsi, senza l'ombra di un avversario, a essere la ballad dell'album. Basta infatti trovare il coraggio di raschiare via tutto il rumore, l'ardore e il dolore della carne viva per arrivare all'osso e sbattere i denti sul vero nocciolo della questione: quel classicissimo giro di MI minore che ha fatto la fortuna del rock sentimentale, nei secoli dei secoli. Quattro accordi che — la Storia ci insegna — non possono che stare uno dopo l'altro, in quella esatta sequenza, per arrivare dritti a squarciare qualunque sacca lacrimale. Quattro accordi perfetti per essere suonati con una chitarraccia attorno a un falò sulla spiaggia, possibilmente d'inverno, quando la riva è deserta e accendere un fuoco diventa un bisogno vitale e non un vezzo romantico.

Albe, albe ovunque

È vero, per come sono andate a finire le cose, è facile adesso cadere nella trappola di sviscerarle con il senno di poi e leggere in ogni parola e in ogni nota i segni dell'inevitabile. Però, anche a voler rimanere cronisti e analitici, è indubbio che New Dawn Fades sia forse la migliore sintesi della parabola artistica dei Joy Division, della loro ormai ben documentata fragilità, del potere catartico della loro musica. Una carriera vaporizzata in un soffio — un EP e due full-length nel giro di due anni — in quale altro modo potrebbe essere raccontata se non con l'immagine di una nuova alba che compare, ti acceca e sfiorisce prima che faccia giorno?

Non è un caso se, da allora a oggi, New Dawn Fades è stato il titolo scelto per una graphic novel, per una pièce teatrale, per innumerevoli compilation di tributo. Così come non è un caso se risulta — statistiche alla mano — uno dei pezzi più coverizzati dei Joy Division: Moby, John Frusciante, gli stessi New Order e uno stuolo di gruppi cosiddetti minori che messi in fila scomparirebbero all'orizzonte.

La più bella — per una volta — arriva dall'Italia: l'hanno incisa nel '96 i Disciplinatha e sta su Primigenia, loro ultimo atto (verosimilmente non un caso, nemmeno questo) prima di sciogliersi. Si distingue per il merito di portare a galla tutto il suo potenziale melodico, la perizia di saperlo fare galleggiare sull'originale stridore apocalittico e la presunzione irriverente di aggiungere qualcosa a ciò che suonava già compiuto. Si tratta di una frase, spezzata in due e usata per chiudere il tutto come tra parentesi. Un primo frammento recita:

In controluce ti attendo, così che tu...

E fa da intro, sospesa nel vuoto. L'altro chiude il cerchio senza trovare niente da riportare a casa:

... possa sentire per me quasi una solitudine.

Calza a pennello come un calzino bucato: il peggior augurio da lasciare in tasca a chi abbandoni, quando qualcosa — qualunque cosa — finisce. Ritrovarselo lì, ancora una volta sbattuto in faccia a tradimento, dopo aver pazientato quarant'anni che il tempo lenisse in parte le ferite, fa ancora più male.

Di nuovo, sensibili anche loro.

Note a margine
Questa specie di mini retrospettiva eretica è stata scritta in esclusiva per uno speciale de lindiependente.it uscito in occasione del quarantennale di Unknown Pleasures dei Joy Division ed è comparsa per la prima volta sull'omonimo sito, dove fa ancora la sua porca figura. La riportiamo anche qui per questioni di vanagloria, completezza e perché Spineless è come il maiale: non si butta via nulla. Ma soprattutto per non dimenticare, a perenne memoria di una canzone che avrebbe potuto essere l'alba di una nuova era, magari un minimo più serena, e invece.
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