Un lettera aperta a Isacco Newton per raccontargli che la dinamica non si esaurisce in una qualche interazione di forze. Tipo la deriva esponenziale dei commenti a un post.
24 Dicembre 2006
Caro Newton, trattasi di dinamica dei post. Così, per precisare, che magari vai avanti a leggere e non ci capisci nulla, e poi ti rattristi. Non ti rattristare, caro Isacco, che c'è sempre qualcosa di nuovo da imparare.
I post sono (che te mica lo sa cosa sono i post, caro Newton: c'entran niente con le mele, i post) dei posti che te ci scrivi dentro. Poi passa qualcuno e li guarda: capita pure, quando sei particolarmente fortunato, che li legge, questo qualcuno, o forse un altro qualcuno. Alle volte — se proprio c'hai un culo grosso così — finisce che qualcuno, magari diverso da quel qualcuno di prima, magari anche no, gli viene pure in mente di dire la sua e allora ci aggiunge sotto qualcosa. Commenti si chiamano, quelli, caro Newton.
Due righe che avranno qualcosa a che fare con l'argomento iniziale, dirai te. Eh. È qui che ti volevo: no. Il problema è che da queste parti siamo nel mondo reale, quello dove c'è l'attrito, hai presente? Che te, caro Newton, c'hai una certa tendenza a dimenticartelo, l'attrito, per semplificarti la vita. E invece.
Insomma i commenti son bestiole strane, dotati di vita propria e difficilmente educabili. Sono insofferenti, anarchici e un po' menefreghisti per natura: seguono in pratica una sola regola, ovvero quella nota negli ambienti accademici come "principio di deriva casuale del commento", di cui si trova una prima bozza di enunciato in mezzo al marasma degli appunti — recuperati nella soffitta della casa paterna a Pozzuoli dopo la sua morte prematura nel settembre scorso — del professor Edoardo Chiappamosca, fino ad allora titolare della cattedra di fisica dello stato solido all'università Federico II di Napoli:
L'ultimo commento ha un indice di fitting con l'argomento di partenza inversamente proporzionale al numero dei commenti stessi.
Ovvero: «L'ultima cosa che ha detto non c'entrava una sega, caro Cavaciotti!», come amava parafrasare a lezione il professore stesso — pace all'anima sua — in risposta all'ennesima domanda di Salvo Cavaciotti, fuoricorso di mestiere, ma soprattutto per autentica e sincera passione.
Te lo sai, caro Newton, cos'è l'indice di fitting (riportato spesso, nei libri specializzati, con la sigla IF)? No? Nemmeno io: me lo sono inventato ora, così su due piedi. Ma non è lì il punto. D'altronde:
Il punto, lui, è sempre da un'altra parte.
Come si legge nella prefazione del best-seller Alla ricerca del punto perduto, opera prima della signora Filomena Gingilli, apprezzata sarta del varesotto, riciclatasi scrittrice di succeso per motivi di economia domestica. «Arrivaci te, a fine mese, con due bambini tra i piedi e lo stipendio di un marito metalmeccanico», commenta nella sua ultima intervista per Vanity Fair, non senza nascondere una precisa frecciatina al pessimo lavoro fatto dalla CIGL, sigla sindacale che dovrebbe garantire certi diritti al marito Gingilli Remo, costantemente oberato di straordinari ben poco remunerati in busta paga.
Dicevamo: non è quello il punto. Che la situazione sta più o meno in questi termini: dopo i primi commenti che sono delle effettive risposte o disquisizioni sul tema di cui si parla nel post (IF=90%-100%), inzia un lento ed inesorabile processo di decadimento del suddetto indice (IF=60%-70%), l'interesse si sposta progessivamente altrove, fanno capolino nuovi input, nuovi spunti (IF=30%-40%), fino a perdere quasi del tutto traccia dell'argomento iniziale (IF=10%-5%) e ritrovarsi a leggere cose che voi umani nemmeno immaginate.
È un processo sotterraneo e impercettibile, al punto che non puoi nemmeno pensare di isolare l'esatto istante in cui ha inizio, o quantomeno individuare un presunto colpevole, colui che dà alle idee in circolo la spinta decisiva a far loro cambiare direzione definitivamente.
No, Isacco mio, toglietelo dalla testa di razionalizzarla, questa cosa qua: semplicemente finisce che arrivi in quella zona di non ritorno dove chi commenta non legge più nemeno il post (non ne ha necessità), semplicemente si limita a commentare l'ultimo commento, dando vita così a un fenomeno di autoreferenzialità dei commenti stessi in cui l'ultimo commento appena citato diventa in realtà un post nel post con esistenza e metabolismo del tutto indipendenti.
È questo il momento in cui l'autore può anche prendere e andarsene (non c'è più bisogno di lui) o comunque limitarsi a osservare il fenomeno dall'esterno, con la faccia di uno che è incuriosito, divertito, stupito o magari anche semplicemente preoccupato. Che una cosa che una volta era sua ora gli è scappata di mano e se ne è fuggita in strada a importunare i passanti e ad accettare caramelle dagli sconosciuti.
Ti pare normale, a te, caro Newton, questa storia qua? A me non so. Però io, alla fine, c'ho il forte sospetto che — normale o no — sia una cosa bella, questa della deriva. C'ho il sospetto che valga la pena. Io c'ho il sospetto che "chissà dove si va a finire", non è mica male, come prospettiva.
Dopotutto, è il bello di quel network sociale a struttura orizzontale nell'universo mediatico che è la blogsfera, direbbe Il Sole 24 Ore. È il bello della diretta, direbbe Raffaella Carrà. Va' che bello, direbbe Polly.