Anche i blogger soffrono della sindrome da pagina bianca, anche se non è mica una pagina di carta. Per quello tutti sognano di finire in un paradiso dove avere sempre qualcosa da scrivere. Se non altro quello di cui hanno appena sognato.
21 Aprile 2007
C'era una volta un blogger che tentò per due giorni consecutivi di scrivere un rigo, poi gettò la spugna. C'è un posto dove si buttano le spugne quando ci dichiariamo sconfitti? Che buttarle così dove capita fuori dal finestrino è da maleducati. Ma anche fosse, come funziona con la raccolta differenziata? Vanno nell'umido o nel secco. Purtroppo non abbiamo risposte, perché nelle storie tramandate oralmente ci son dei particolari che a volte si perdono, come, che ne so: qual era il numero di cellulare di Achille? Oppure: Cicerone era della Roma o della Lazio? Boh.
Comunque, il blogger in questione (quello che c'era una volta, dico) gettò la spugna e dichiarò sconsolato a se stesso: «Sono in crisi». Se stesso rispose che figurati, capita, che era in crisi anche lui, visto che era finita la Nutella. Il blogger si indignò e accusò se stesso di essere un alter ego materialista, senza un briciolo di educazione e soprattutto senza il minimo senso artistico. Detto questo, uscì a passeggiare, ma gli veninva da piangere.
Incontrò un suo conoscente — blogger anch'egli (ci mancherebbe) — che come il Nostro stava passeggiando, scuro in volto, con l'espressione irrimediabilmente triste e gli occhi cerchiati: era in crisi anche lui:
Lo prese sottobraccio e lo portò in un localino un po' equivoco dove erano usi ritrovarsi tutti i blogger in crisi. Gli spiegò:
Nella penombra dei tavoli, c'erano persone di ogni età e di ogni sesso: quando i due entrarono, tutti li salutarono cordialmente, simulando con l'indice il doppio clic sul tasto sinistro del mouse. Il conoscente indicò a tutti il blogger:
Ecco allora che un signore, per fargli coraggio gli confessò:
Mentre da un altro tavolo già lo invitavano cordiali:
Erano tutti davvero estremamente gentili e allora il blogger in questione si sedette e gli offrirono da bere: prima un bicchiere, poi un altro, poi un altro ancora. Che l'alcol, si sa, annebbia la mente e addormenta i cattivi pensieri e questo, stranamente, vale anche per i blogger, che anzi ne fanno gran uso per poi raccontare nei post delle loro memorabili ubriacature.
Così il nostro eroe uscì dal locale che erano le quattro e un quarto: fuori era notte fonda, tutti i gatti dormivano e lui si avviò verso casa un po' meno disperato ma decisamente più barcollante, si accasciò sul letto tutto vestito, senza nemmeno accendere il pc e controllare i commenti al suo ultimo post, e si addormentò come un sasso. Che in realtà io conoscevo un sasso che soffriva di insonnia, che proprio non lo poteva sopportare quel modo di dire lì, ma questa è un'altra storia.
Chi lo sa. Forse per via del vino, o per la serata di stravizi, o più probabilmente senza un motivo ben preciso («Se quando sogni hai un motivo per farlo, vuol dire che sei sveglio», esordiva ogni anno il prof. Ermanno Lapalpebra alla prima lezione del corso di riempimenti per cuscini della facoltà di fisica di San Gimignano, dipartimento di meccanica irrazionale), fatto sta che fece un sogno strano. Ma strano bene, di quelli così strani che raccontarli è un casino. Per esempio, dice mia nonna che c'era una volta uno che raccontò un sogno così male che quello che lo ascoltava si addormentò. Che raccontarle, le cose strane, poi sembran quasi normali. E invece.
Insomma. C'erano due blogger in riva al mare che giocavano con la sabbia e il secchiello. C'era poi un terzo blogger nei pressi che scavava con una paletta, e un quarto che stava nell'acqua fino ai ginocchi contemplando le increspature del mare. Lontano, dove finiva la sabbia, un quinto blogger succhiava un gelato. A un certo punto, l'assistente sociale gridava, suonando allegramente una campanella:
Che quando compri un blogger, l'assistente sociale è inclusa nel prezzo, altrimenti mica funziona, quello. Il blogger, dico.
Al che tutti si alzavan festosi: alcuni che erano in mare con il salvagente tornavano a riva, e così pure quelli che erano tra gli scogli a guardare le alghe. L'assistente sociale chiedeva:
Che se si vuol esser blogger, dopo le addizioni, le sottrazioni, le moltiplicazioni, e le divisioni a due cifre bisogna saper fare le osservazioni: per fare un post decente infatti il trucco è semplice, basta guardarsi intorno con un occhio un po' più divertito del solito, che il mondo è pieno di cose da raccontare, e queste cose un'assistente sociale preparata come la mia le sa bene, e non si stanca mai di ripetermele.
Rispondevano i blogger in coro.
Confermava in ritardo un blogger più basso, ancora tutto bagnato, mostrando un sassolino. Al che ridevan tutti, e anche lui rideva, che mica se ne era accorto che lo stavano prendendo per il culo, beata ignoranza. Un blogger che portava gli occhiali si bullava:
Un altro confessava:
Un altro:
E qui l'assistente dava uno scappellotto a entrambi, che nel mondo dei blogger, si sa: si vive di nickname, e chi rivela il proprio nome viene radiato dall'albo. Un poi come la CIA insomma, che sarebbe una cosa americana molto segreta che si occupa di uccidere i presidenti, far cadere i grattacieli e di un sacco di altre cose — schifezze, prevalentemente — che però non si possono dire in quanto, appunto segrete.
Si correggeva così il primo, mentre il secondo lo seguiva a ruota:
A quel punto l'assistente sociale si complimentava, perché i blogger con come gli asini: bastone e carota è una delle strategie che funzionano meglio, con i blogger.
Così tutti gli altri continuavano, ipereccitati dal meritato riconoscimento:
Gridava allora l'assistente alla sua collega del campus confinante: La colonia di chi si crede di essere Dio, di cui anche alcuni blogger potevano benissimo far parte.
Qualcuno saltellava su una gamba sola per gioco, qualcun'altro teneva per mano il blogger del cuore. Poi tutti rientravano in casa e si mettevano a scrivere buoni buoni. Ognuno aveva il suo angolo prediletto, e lì si dirigeva con il suo computer portatile: vicino a una fonte di luce, o in piedi, o su una sedia in cucina, o con dei tappi alle orecchie, o guardando fuori dalla finestra, o gomito a gomito con qualcun altro. Nessuno copiava, nessuno finiva casualmente su siti porno o stava di malavoglia distratto.
Non c'erano programmi autoritari, era il Paradiso dei blogger: ci andavano i blogger non quando morivano ma bensì quando restavano soli, ed era un'esempio di colonia sperimentale, democratica e illuminata, molto ambita da tutti. Non come certe altre comunità o associazioni in cui volavano schiaffi, o certe scuole in cui volava anche di peggio. Ma lasciamo perdere.
Verso sera tutti gli scritti venivano raccolti e stampati. L'assistente sociale non mancava mai di raccomandarsi:
I post venivano quindi messi in una cartellina di plastica e ammucchiati sopra un armadio: nessuno il giorno dopo ci pensava più, così non venivano mai resi noti e finiva che tutti i blogger stavano sulla spiaggia, facevano il bagno e poi scrivevano per il puro gusto di scrivere. Pensa che storia, caro utente Freud: solo un sogno poteva essere.
«Solo un sogno poteva essere.»
Proprio così pensò il nostro blogger in crisi, quando si svegliò e — anche se ancora rincoglionito dai fumi dell'alcol, inguaribile come pochi — si gettò sulla tastiera a scrivere un post su quello che aveva appena sognato.