La triste storia sentimentale di Kierkegaard, se letta nemmeno troppo tra le righe, finisce per non rappresentare altro che l'espressione certificata del matrimono come filosofico abbrutimento della vita matrimoniale.
19 Febbraio 2007
Con quella storia di San Valentino mi è tornato in mente Kierkegaard. Søren Aabye Kierkegaard: l'hai presente, caro utente filosofo? Ma sì che l'hai presente! Come fai a non avere presente colui che è considerato all'unanimità il padre dell'esistenzialismo moderno? In po' come Sartre, insomma, ma non confonderlo con Sartre, mi raccomando, che Sartre a tutt'altro pensava, Sartre.
Mi è tornato in mente, Kierkegaard, perché anche lui poteva avere delle discrete possibilità nel casting per il personaggio simbolo della festa degli innamorati.
Che Kierkegaard infatti non si è mai sposato: è stato fidanzato per ben un anno (pensa te la costanza del tipo in questione, caro utente puttaniere) con l'unica donna della sua vita, che già dal nome — Regine — impersonava bene la parte di libero demiurgo di cui si parlava a suo tempo.
Il paradosso però, è che fu proprio lui, Kierkegaard, a rompere il fidanzamento: si era convinto che la ragazza lo odiasse, o quantomeno avrebbe iniziato a odiarlo una volta sposati, per via della sua salute cagionevole. Che Kierkegaard, poverino, era un filosofo un po' sfigato: sempre malato, votato all'introspezione e soggetto a frequenti e penosi attacchi di sensi di colpa.
Che a me Kierkegaard m'ha sempre fatto una gran tenerezza, anche quando lo studiavo sui libri. Perché va detto: Kierkegaard non è come Max Weber, che era un tipo molto underground e alternativo di cui si sa poco. Kierkegaard — suo malgrado, che son convinto che lui ne avrebbe fatto anche a meno — è diventato uno famoso, uno di quei filosofi che si studiano sui libri, appunto.
Con questa storia del fidanzamento poi, che lui mica poteva saperlo, che mi sa che delle teorie di Max Weber lui, Kierkegaard, ne sapeva niente. Però mi sa che, in quella faccenda del fidanzamento, mandò a puttane tutto partendo dai presupposti sbagliati. Che non c'entrava niente la salute cagionevole: sarebbe stato odiato ugualmente anche se fosse stato sano e robusto come, che ne so, Hegel e con un nome machissimo come, che ne so, Georg Wilhelm Friedrich. Che poi sarebbe sempre Hegel.
Perché le mogli, almeno dal diciassettesimo secolo, odiano sempre i mariti, anche se non lo danno a vedere, anche se non lo sanno. E questo si evince infatti palesemente dagli scritti di Max Weber, anche se lui non lo sa (lui Max Weber dico) o quantomeno non è mai stato così esplicito al riguardo, visto che in genere si limitava a parlare dell'evoluzione storica che non ha alcun punto di arrivo ma è piuttosto basata su rapporti di causa e effetto che si susseguono ciecamente senza alcuna linea di tendenza, alcuna conclusione, alcun punto di arrivo appunto.
Ma non ci facciamo ingannare, che eran tutte perifrasi per parlare di mogli e mariti invece. E di San Valentino, come abbiamo già visto.
Che uno potrebbe in effetti pensare che quelle di Kierkegaard erano solo menate prive di fondamento di un maniaco ossessivo-depressivo, che l'eventuale, potenziale la moglie avrebbe potuto benissimo non farci caso, visto che un marito come lui non faceva rumore: si aggirava semplicemente per la casa come un'anima in pena, senza parlare, senza dar noia.
Ma le mogli, dopo la rivoluzione borghese di cui parla Max Weber, odiano qualunque marito, che si muova o che stia fermo, dato che il matrimonio è un'istituzione che improvvisamente — nel diciassettesimo secolo per la precisione — evolve verso la contraddizione sociale, pilastro fondante e causa scatenante della moderna società capitalistica, come dice Max Weber.
Che Kierkegaard, quando morì, Max Weber ancora non era nato, eppure il nostro filosofo triste aveva già intuito (pensa te come era avanti, caro utente divorziato) che la moglie, in quell'epoca — pure continuando ad ammettere come nei secoli passati l'idea di marito in generale (non avrebbe obiettivamente saputo farne a meno, come capita con tutte le cose che si odiano sul serio) — odiava tuttavia ogni marito specifico.
In altri termini, sempre come dice Max Weber, a essere odiato è il marito in atto, in quanto non più marito in potenza. Finché resta in potenza, infatti, presenta — a partire ancora dal diciassettesimo secolo — l'attrattiva dell'evasione amorosa che dà origine alla festa di San Valentino e a tutto quel traffico illegale di cioccolatini e perizoma a fiori: un sogno antisociale di fuga romantica dà luogo alla società, giura Max Weber, non mancando di sottolineare la contraddizione — implicita nell'essere femmina e quindi donna e in questo caso moglie — che qui si esplicita anche a livello grammaticale nelle parole "antisociale" vs. "società".
Insomma, dice Max Weber — e c'è da credergli — che questo odio delle mogli per i mariti e in particolare della potenziale moglie di Kierkegaard per Kierkegaard stesso, nasce da un'immaginazione delusa (e non, come si poteva pensare, da un'intolleranza alimentare ai Baci Perugina o dalla scelta sbagliata di un perizoma di Intimissimi).
Il problema è che il nostro povero Kierkegaard, nella sua testa bacata, anche una volta rotto il fidanzamento e ritrovatosi solo, continuava a percepire distintamente il disprezzo di quella che avrebbe potuto essere sua moglie. Tanto che cominciò a pensare che tutto quell'odio che si sentiva sulle spalle non fosse solo per colpa sua (che Kierkegaard si sa, per come era fatto, quando gli succedeva qualcosa, la prima cosa che pensava era che fosse tutta colpa sua), ma che dipendesse, come avrebbo poi confermato Max Weber, dalla rivoluzione borghese, ossia nascesse ed esistesse per necessità sociologica e storica. Ritenne quindi, da un certo punto della sua vita in poi, non poter farci niente e ciò lo rese incredibilmente inquieto, lui già nevrastenico e depresso cronico di per sé.
Max Weber dice che l'inquietudine è un sentimento che si può far risalire al diciassettesimo secolo: dice che non trovando più soddisfazione nella famiglia e per sfuggire alle randellate della moglie, l'individuo inquieto si volge all'esterno, e fioriscono così le manifatture, l'industria del carbone, l'amore per il rischio finanziario, le avventure commerciali, il dinamismo economico, l'imprenditoria in generale e tutta una schiera di agghiaccianti, piccoli Berlusconi.
Insomma è la moglie che, coltivando questo odio indefesso tra le quattro mura domestiche, costringe il marito a tale estroflessione, allo spirito capitalista, al moderno assetto sociale, ci assicura Max Weber che dice ci metterebbe la mano sul fuoco.
Rimane qui però infine da ribadire la necessità di non generalizzare. Anzi — nel caso specifico, che poi sarebbe quello di Kierkegaard e della sua moglie in potenza — il marito in questione era talmente statico e inerte, così incredibilmente sensibile, piagnucoloso e privo di ogni impulso ad uscire per andare a ballare alla balera o in disco che, dobbiamo ammettere, l'avrebbe odiato anche Max Weber. Max Weber che — come dimostra la sua biografia — non aveva notoriamente nessuna propensione alla fuga e tantomento alla fuga amorosa. Max Weber che sopportava tutto, lui, pur di coltivare i suoi studi senza che nessuno gli rompesse le palle, che diceva sempre sì, va bene diceva: come vuoi te, va benissimo così, diceva a sua moglie Max Weber, pur di poter continuare a imbrattare i suoi post-it di teorie carnascialesche sulla nuova società capitalistica e sulla rivoluzione borghese del diciassettesimo secolo.
Eppure se avesse avuto Kierkegaard per casa, se l'avesse avuto sotto gli occhi mentre gironzolava come suo solito in vestaglia da camera e pantofole, con quei pantaloni di vellutino, sformati e lisi sul culo a forza di stare a sedere a non far niente e mezzi bagnati dalle lacrime che versava quotidianamente durante le sue crisi di pianto... ecco, insomma, ci siam capiti: si fa presto a parlare e a scriver libri con tanti buoni propositi, a criticar le mogli che picchiano i mariti e il matrimonio come istituzione che evolve inesorabilmente verso una contraddizione sociale senza precedenti, ma se l'avesse avuto tra i piedi, Kierkegaard, l'avrebbe mandato a quel paese anche Max Weber.
Alla faccia della rivoluzione borghese del diciassettesimo secolo, anno più anno meno.